Michele Masneri e la Silicon Valley come il teatro dei desideri
In un’intervista a Michele Masneri per Rivista Studio a proposito di Steve Jobs non abita più qui, la sua raccolta di reportage californiani da poco pubblicata con Adelphi, Cristiano de Majo gli aveva chiesto se al centro dei suoi racconti vi fosse una certa ricerca di coolness, quell’aurea particolare che rende in qualche modo attraenti certe persone o certi progetti. Ciò che preme all’autore è il racconto della borghesia contemporanea, aveva risposto, con tutto il suo bagaglio di evoluzioni, mimetismi, aggiornamenti e tendenze stagionali. Una peregrinazione disincantata nel jet-set, tra chi vi fa parte, e il potere, la fama, la ricchezza, ma tutto osservato da dietro le quinte.
Sono le sue avventure nella Valle, il modo colloquiale con cui Masneri chiama la Silicon Valley e che è stata oggetto viaggi e giretti e scampagnate, il tema del nuovo libro, raccolta di articoli pubblicati su giornali e riviste e opportunamente riscritti, che incedono nei dettagli, tra gli hipster che vengono a depositare le proprie ambizioni qui, che cascano in California pieni di speranze armati dei libri di Ayn Rand.
Masneri comincia dalle elezioni del 2016, ovvero dal disturbo post traumatico che colpisce gli abitanti di San Francisco al loro doloroso risveglio, il 9 novembre, nella Right Nation trumpiana. In quel momento l’autore risiede, in una sorta di esperimento sociologico, in una strana comune nella zona del Civic Center di San Francisco: un co-living che lui ribattezza la “Casa del Grande Fratello Startupparo”, circondato dai millennial.
È una realtà fatta di distanze enormi, da percorrere unicamente con la macchina, in cui tutto costa tantissimo, avere una stanza tutta per sé è già un mezzo miraggio, figuriamoci una casa; una realtà fatta di servizi, cioè bar con caffè a prezzi alti, catene di alimentari bio, marijuana, sesso, app per il sesso, palestre, app per le palestre. Tutto deve essere dinamico, andare veloce senza fermarsi, non c’è tempo. Ogni contatto umano è mediato, cioè facilitato ma anche normato, da internet.
A un certo punto Masneri rincorre Peter Thiel, fondatore di PayPal, gay repubblicano tra i pochissimi della Silicon Valley ad avere appoggiato Trump; non lo troverà, in compenso si imbuca a party, feste, cene, eventi (verbo-chiave del libro, imbucarsi, corrispondente a uno stato d’animo sempre curioso e a un abbandonarsi a quello che si troverà durante un incontro). Lo racconta ispirandosi al linguaggio di Alberto Arbasino, quando scriveva ad esempio nei Ritratti italiani: «D’inverno, a Lisbona, un architetto e designer fastoso e vispo m’invitò a pranzo». E Masneri parla con Bret Easton Ellis e con Jonathan Franzen, con l’imprenditore del tech David Kelley e con Chris Lehane, a capo delle PR di AirBnb. Con questa continua predisposizione all’incontro che permette al giornalista e autore di delineare un disegno nuovo di quella strana zona d’America. San Francisco, la Silicon Valley, quel luogo mitologico il cui influsso arriva nelle nostre tasche sotto forma di cellulari, in cui nulla è semplicemente come sembra ma un’interpretazione di bisogni che ancora devono sorgere: un luogo che crea in anticipo bisogni e necessità prima che vengano percepiti dal pubblico.