Mario Martone mette l’adolescenza sul palcoscenico
Inarrestabile tra cinema, teatro e lirica, il regista napoletano firma al Piccolo Teatro di Milano un Romeo e Giulietta recitato da giovanissimi che ha a che fare con l'oggi.
Inarrestabile Mario Martone. Uno e trino, il regista napoletano si divide tra cinema, teatro e lirica con ritmi che hanno dell’incredibile, soprattutto se si pensa al livello sempre altissimo dei suoi lavori.
Appena applaudito alla Berlinale per il suo bel documentario su Massimo Troisi, Laggiù qualcuno mi ama, omaggio tenero a un attore unico che avrebbe compiuto settant’anni che è ancora possibile vedere nei cinema, subito si è chiuso al Piccolo Teatro Strehler di Milano per le prove di Romeo e Giulietta, versione fedele ma anche molto personale della tragedia di Shakespeare che ha deciso di riportare all’età originale, affidandola a una compagnia di giovanissimi. E forse aveva nel cuore un po’ di agitazione per la scelta del suo film Nostalgia per rappresentare l’Italia agli Oscar – corsa purtroppo finita anzitempo con l’esclusione del film con Pierfrancesco Favino dalla cinquina finale – quando si apprestava a concentrarsi sulla lirica, per l’allestimento a ottobre di una Fedora di stampo psicanalitico e surrealista con citazioni visuali di Magritte alla Scala, dove a maggio verrà ripreso il suo André Chenier.
La Storia specchio del presente
In un fermento creativo dai ritmi così sostenuti, Martone riesce a mantenere una coerenza profonda che affonda nell’interesse per una Storia percorsa da fiumi carsici di ribellione a un potere granitico e asfissiante, specchio delle inquietudini del presente. Una forza eversiva che può trovarsi solo nelle nuove generazioni. Succedeva nei suoi film più amati: i tre ragazzi del Sud decisi a reagire all’oppressione borbonica unendosi alla Giovane Italia di Noi eravamo; la lunga e difficile evasione del poeta Giacomo Leopardi dalla villa-carcere del padre verso la libertà degli ultimi mesi a Napoli del Giovane favoloso; la scoperta di se stessa nell’arte e in una consapevolezza anticonformista della pastorella protagonista di Capri-Revolution, ambientato nel 1914. E Napoli, la sua città anomala, primordiale e misteriosa, è un altro dei nuclei poetici germinali di Martone che lì a teatro si è scoperto regista e autore, fondando la compagnia Teatri Uniti, e ne ha cantato il fascino oscuro fin dagli esordi al cinema, nel 1992 con Morte di un matematico napoletano. E le è restato fedele sempre, fino al recentissimo Nostalgia.
L’inquietudine dei teenager
Una poetica che ritorna forte in questo Romeo e Giulietta, in scena al Piccolo fino al 6 aprile dove è la produzione di punta della stagione. La scelta di portare sul palco dei teenager è la più centrale e, spiega Martone, «nasce dalla necessità di fare un teatro che ha a che fare con la contemporaneità». Shakespeare risuona con l’oggi perché parla di adolescenza, e di violenza: «L’adolescenza mi sta a cuore anche per motivi autobiografici, ho una figlia di diciannove anni. Ma sono convinto che la sensazione di scollamento tra i ragazzi e gli adulti oggi sia molto più forte di quando ero giovane io. Oggi la loro inquietudine si rifugia in linguaggi e codici creati da loro, incomprensibili ai genitori. Si ritrovano in una società agitata da una violenza sorda, a cerchi concentrici, che dalla guerra si stringe alle città, alle periferie, alle famiglie. Una violenza anche verbale: attraverso i social c’è una esplicitazione forte e insensata della conflittualità, che poggia solo su rabbia e dolore muto».
I corpi in scena per parlare dell’oggi
Il nostro è un mondo dove l’autorità è assente, e allora Martone cancella il personaggio del Principe. Perché per calare il classico nella contemporaneità, non ha paura di osare. Lo ha sempre fatto, introducendo squarci anacronistici in racconti di epoche passate: «Nel Risorgimento di Noi eravamo irrompeva una struttura di cemento armato: una staffilata contemporanea, un modo per tagliare la tela e riportare lo spettatore al rapporto tra la favola e l’oggi». Qui succede con la parola: quando Romeo uccide Tebaldo e viene cacciato dalla città, sul palco si parla di Daspo. È solo uno degli interventi drastici sul testo (la nuova traduzione è di Chiara Lagani di Fanny & Alexander, gruppo storico della ricerca teatrale). Un altro è il linguaggio duro, anche volgare, degli adulti. Lontanissimo dal codice poetico che usano i ragazzi, «una bolla linguistica che li protegge, ma solo fino a un certo punto». Ma quello che più conta è il loro corpo sul palcoscenico. Più fresco e vero possibile, con una recitazione antiaccademica, anche brutale: «Fare un discorso sull’adolescenza è stato tutt’uno col riportare lo spettacolo alla sua età reale. E per farlo avevo bisogno degli adolescenti, la loro presenza ha a che fare anche con la performance e l’arte visiva. È una questione messa lì, sul palcoscenico».
Una compagnia under 30
E allora eccoli, i giovani. Sono trenta gli attori della compagnia: età media trent’anni, con una Giulietta esordiente di appena quindici, Anita Serafini da Monterotondo, un Romeo diciottenne, Francesco Gheghi, e tanti allievi della scuola del Piccolo Teatro. Si muovono sulla scenografia di Margherita Palli, collaboratrice preziosa di Martone da lungo tempo. Dopo aver firmato le scenografie per le sue regie liriche, ha concepito per Romeo e Giulietta una straordinaria installazione site specific. Non la classica città medievale né il tradizionale balcone, ma una foresta di alberi. Uno spazio di poesia e sogno che si affaccia su una realtà di degrado, tra rifiuti e carcasse di auto. Perché il rifugio incantato non potrà salvare i due giovani amanti.