Lo stato dell’arte ai tempi del Miart 2023
Dal 14 al 16 aprile torna la fiera dell'arte moderna e contemporanea di Milano. Ne abbiamo parlato con Francesco Poli.
In occasione della 27° edizione del Miart, in un periodo di incertezze e instabilità, facciamo alcune considerazioni sullo stato attuale del sistema dell’arte, grazie anche all’autorevole contributo del prof. Francesco Poli, docente, critico, storico dell’arte e autore de “Il sistema dell’arte contemporanea” (Laterza 1999), uno dei testi più letti e studiati sull’argomento.
La fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano torna dal 14 al 16 aprile 2023, nella città cardine del mercato italiano. Il Miart, nella sua 27° edizione, prosegue solcando le metafore musicali e costruisce il suo immaginario attorno alla parola “Crescendo”. Il termine si riferisce a un aumento graduale dell’intensità del suono in una composizione. In questo contesto viene associato alla crescita della fiera in termini di qualità, partecipazione, di addetti e pubblico, e al desiderio di continuare questa traiettoria ascensionale.
La parola “Crescendo” sembra aver distinto tutto il 2022, in risposta al blocco forzato del periodo pandemico. Questo ritmo è stato il tratto distintivo del settore dell’arte, non solo in relazione alla ripresa di entusiasmo e alle riaperture di tutte le attività del comparto, ma anche in riferimento alla crescita che il mercato ha avuto nelle transazioni economiche.
Alcuni elementi dell’andamento del mercato dell’arte tra il 2022 e le previsioni per il 2023
Lo scorso 2022 si è registrata un’ottima ripresa del mercato, stando ai vari report che ne stanno documentando l’andamento. Il mercato italiano delle aste di arte moderna e contemporanea segna una crescita del +3.1% sul 2021. Quella scorsa è stata un’annata che ha visto il fatturato globale delle aste con un valore pari a 16.5 miliardi di dollari, il quarto miglior totale annuo della storia. Il mercato italiano con i suoi 190 milioni di dollari si assesta al sesto posto dopo Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Francia e Germania, seguita subito dopo da Giappone e Svizzera.
Il 2022 sarà ricordato come il più florido nella storia delle aste d’arte per numero di opere che hanno superato la soglia dei 100 milioni di dollari. Ma è stata anche l’annata in cui si è venduta una quantità fenomenale di opere molto economiche, più della metà delle quali acquistate per meno di 800 dollari. A detenere il podio delle transazioni nelle aste è stata la pittura che ha raggiunto il livello più alto di sempre con un valore di poco inferiore all’80%, seguita dai disegni con il 14%, dal 9% della scultura, il 3,4% delle incisioni, con la fotografia che raggiunge solo l’1% e gli NFT lo 0.1%.
Ci sono però alcune previsioni circa il 2023 che sembrano non confermare questa tendenza di crescita entusiastica, a cominciare dal fatturato italiano che riporta una lievissima flessione, del -0.02% rispetto allo stesso periodo del 2021, primo segno negativo dopo cinque semestri di crescita costante. Questo decremento non pare determinato tanto dalla diminuzione del numero di transazioni, quanto piuttosto da un calo generalizzato dei prezzi medi di aggiudicazione nelle battute d’asta. Se, secondo Art Tactic “Il 37% degli esperti prevede che il mercato dell’arte continuerà la sua traiettoria ascendente nel 2023”, lo scorso novembre l’Institute of International Finance (IIF) annunciava che il 2023 sarà debole come il 2009, poiché la guerra in Ucraina avrà effetti a lungo termine.
(fonti Collezione da Tiffany e Artprice.com)
Nuove prospettive in un’intervista a Francesco Poli
Una situazione, quindi, di grande volubilità rispetto alla quale abbiamo posto alcune domande al prof. Francesco Poli.
In quest’epoca definita post-pandemica, quali equilibri si stanno riassestando, e in che modo, nel sistema dell’arte contemporanea e nel suo mercato?
“Negli scorsi anni abbiamo assistito a una forma di euforia mondana nei confronti dell’arte contemporanea, una sorta di curiosità per il nuovo e per il cambiamento. La pandemia è stata una specie di crisi di psicologia collettiva e ha portato allo sgonfiarsi di questa euforia. La cosa ha generato un desiderio generalizzato di bisogno di sicurezza e di punti di riferimento che si sta riflettendo anche nel mondo dell’arte. Così l’orientamento del collezionismo si rivolge ad artisti più “sicuri”, non solo da un punto di vista economico, ma anche da quello storico e con una fruibilità di media più consolidati. Adesso, la minoranza che va a caccia di circuiti alternativi e laterali non è più traino delle proposte trendy e cutting-edge. L’euforia da parte di taluni mercanti, alla continua ricerca di nuove proposte e a caccia di fenomeni speculativi a breve termine e dal successo immediato, non funziona più poiché ci sono stati dei contraccolpi negativi.”
In uno scenario che premia correnti artistiche storicizzate e media consolidati, quali saranno allora le occasioni a sostegno, anche economico, per quegli artisti che invece vogliono continuare a sperimentare e fare ricerca?
“Quest’area di ricerca svolta dalle nuove generazioni non è già più sostenuta dal mercato e dai galleristi (che restano in attesa), ma da un sistema di supporto come quello delle fondazioni e delle istituzioni, attraverso una rete di residenze o di mostre curatoriali, che si occupano di monitorare cosa sta avvenendo. Non so se è vero, ma mi auguro che ci sia anche da parte di questi artisti una minore fibrillazione rispetto alla volontà di accedere immediatamente nei meccanismi del mercato, innanzitutto perché, mai come ora, la cosa non è facile affatto. E poi perché, in questo modo, trovano spazio per concentrarsi di più sullo sviluppo di linee originali di ricerca con i mezzi più eterogenei. Da quelli classici come il ritorno alla pittura, fino all’elaborazione di progetti multimediali e transmediali, con risultati spesso straordinari. E gli artisti possono sperare più facilmente di essere finanziati, su questo tipo di progetti, da istituzioni e musei.”
Questi nuovi attori potranno quindi rientrare nel sistema in una forma di rinnovato equilibrio, riuscendo magari a loro volta ad influenzarlo?
“È quello che è già successo con le avanguardie del passato. Anche se adesso non si chiamano più così, il senso era quello di aprire nuovi orizzonti, criticare e rompere lo schema verticale di imposizione dall’alto di forme e contenuti. I Galleristi più influenti poi, però, hanno i loro talent-scout che seguono le aree culturali e le scene artistiche laterali. Il meccanismo funziona cercando di riassorbire e gestire anche le nuove forme. Ma questo è il sistema in generale…”.