Lasciati andare – La leggerezza che aiuta a vivere
Possiamo riassumere quello che sto per scrivere così: la realtà, quanto meno per Calvino (ma come si fa a non essere d’accordo con Italo?), è un barcamenarsi tra pesantezza e leggerezza, alla morte di una subentra l’altra, all’esistenza di una è subordinata la sussistenza dell’altra, in un ciclico andirivieni.
La riflessione di Italo Calvino nasce da una serie di conferenze tenute in America, poco prima di morire e per questo incomplete. I contributi sono stati trascritti e raccolti in un volumetto edito da Mondadori intitolato “Lezioni Americane”.
Le suddette lezioni sono sei, ognuna delle quali si occupa di un aspetto – prima linguistico, poi sociale – che Calvino snocciola con la consueta dovizia di particolari e rimandi letterari e mitologici.
Quello sulla leggerezza è il primo saggio, e non poteva essere altrimenti. Lo scrittore non ha mai lasciato nulla al capriccio della casualità. Difatti, se non avesse in prima istanza analizzato la leggerezza non avrebbe potuto impostare i concetti conseguenti – rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità – che in un modo viscerale si allacciano al primo.
L’acume dell’intuizione di Calvino si trova nell’intendere la leggerezza come frivolezza, ma come valore. Levità, quasi agilità, ironica e d’intelletto per superare le brutture del mondo, in intimo legame con la gravità.
Non è forse vero, infatti, che la pesantezza dell’hardware non potrebbe esistere senza le logiche del software? E non è, ancora una volta, vero che senza le istruzioni leggerissime quasi eteree del DNA non saremmo gli organismi sofisticati che siamo?
Insomma la disquisizione calviniana alla fine si riunifica in un solo filamentoso interrogativo: si può intendere la letteratura come una reazione al peso di vivere?
A tal proposito, Calvino cita uno degli scrittori che maggiormente apprezza, ovvero Milan Kundera. “L’insostenibile leggerezza dell’essere” si presta benissimo a questo tipo di argomentazione, perché la levità si concretizza in questo romanzo in maniera esemplare, come la intende lo stesso Calvino.
Calvino che – lo confessa lo stesso scrittore all’inizio del saggio – dal canto suo passa una vita, presumibilmente prima sociale e poi soprattutto letteraria, nel tentativo di sottrarre peso al linguaggio. Un continuo labor limae, direbbe Orazio, un cesellamento costante dell’esistenza pesantezza, al fine di renderla più melliflua e meno grinzosa.
Perchè alla fine, a ben guardare, di esempi di alleggerimento ce ne sono tanti in letteratura quanti nella vita vera. E se il presupposto è che la letteratura sia una lente con cui guardare la realtà, allora le ali di cera di Icaro (e la sua conseguente caduta) qualcosa vorranno dire. Così come i disegni ovali e i fantasmi fluorescenti di Gorane in “La Mischia” di Valentina Maini; o il cammino con l’equipaggiamento pensato e dosato per la scalata verso la vetta in “Monte Analogo” di Renè Daumal; o, ancora, la fuga di Stella in “Follia” di McGrath e le balene in “Io sono il mare” di Caterina Mazzucato. Persino la nausea di Sartre lascia, una volta evaporata, un nero senso di leggerezza.
Da questi esempi si potrebbe tirare fuori una breve lista della spesa della leggerezza o una piccola to do list del minimalismo. Così:
1. Lasciare andare il superfluo. Sarebbe stato un piano poco concreto per Cosimo Piovasco di Rondò decidere, dopo il litigio con i suoi genitori, di vivere tutta una vita su un albero se avesse avuto troppi pesi con sé.
2. Concentrarsi sull’essenziale. Che è poi collegato al primo, quasi consequenziale. Una volta lasciato a terra il superfluo, bisogna scegliere l’essenziale, che per definizione deve essere esile, gramo, agile, leggero, ma sicuro e saldo. Quando il protagonista di “Il Grande Animale” di Gabriele Di Fronzo, sceglie di proseguire il suo lavoro da tassidermista a casa del padre, non ha spazio né tempo: servono gli attrezzi utili. Arsenale leggero e la storia può proseguire.
3. Inserire gli eventi “pesanti” nel divenire. In un’intima confessione un vecchio amico mi disse che il suo psicologo aveva consigliato un approccio per mitigare i bollori: nessuno è uno speciale fiocco di neve. Ciò significa che anche il divorzio del protagonista di “Romanzo Naturale” di Gospodinov è un evento che si inserisce nella realtà; insomma, niente di speciale: la strigliata d’orecchie del capo è un destino comune e condiviso.
4. Accettare la realtà per quello che è. E infine, va bene, Nonna Ugdul e Solovei – in “Terminus Radioso” di Antoine Volodine – non sono proprio i leader che uno vorrebbe. Tantomeno nascere in un pianeta radioattivo con poche zone franche in cui abitare: è difficile, ma la realtà è questa. Inutile piangersi addosso, meglio vederne il buono e premere sugli spigoli.
Questa è leggerezza: che quella Russia post-apocalittica di Volodine sarà pure pericolosa e desolata, ma almeno nevica e c’è un gran silenzio.