La strana storia del regista che non esiste
Alan Smithee è lo pseudonimo dietro cui gli autori di Hollywood hanno nascosto per mezzo secolo i loro fallimenti. Scopriamolo in occasione del Global Movie Day (11 febbraio).
Alan Smithee, chi era costui? Nell’archivio cinematografico più completo del web, Imdb (che sta per Internet Movie Database), a suo nome si trova la regia di una quarantina di film e un altro centinaio tra film tv e cortometraggi. Eppure, anche se questi numeri ne fanno uno dei registi più prolifici di Hollywood, nessuno lo conosce. Il motivo, per quanto bizzarro, è semplice: Alan Smithee non esiste, è uno pseudonimo che in cinquant’anni di cinema i registi hanno usato per firmare opere di cui non andavano fieri, lontane dalla loro idea di arte per aver subito le ingerenze pesanti dei produttori o per altre disavventure durante la lavorazione.
Alan Smithee: un nom de plume collettivo
Il caso è curioso, e si avvicina in quanto a mistero all’uso di certi scrittori di nascondersi sotto un nom de plume per celare la loro vera identità: da noi, il fenomeno più eclatante e indagato è quello di Elena Ferrante. Qui, però, va fatto un distinguo. Perché Alan Smithee non è una persona, ma un’entità collettiva sotto cui si celano tanti registi, anche famosi. E la sua origine è legata a una delle numerose bagarre che capitano sui capricciosi set di Hollywood.
Il primo film fu un successo
Tutto inizia nel 1969, quando uscì nelle sale il western Death of a Gun Fighter (Una notte a Cottonwood). La star del film, Richard Widmark, durante la lavorazione ebbe discussioni pesanti con il regista Robert Totten e ottenne dalla produzione che venisse sostituito con Don Siegel. Alla fine del film, entrambi i registi non vollero ritenersi responsabili del risultato e rifiutarono di comparire nei crediti. La disputa finì davanti alla Directors Guild of America, la corporazione dei registi americani, che si rese conto che le ragioni di entrambi erano valide e acconsentì – cosa prima non ammessa – che il film venisse firmato con uno pseudonimo. Così nasce Allen Smithee (poi cambiato in Alan), secondo alcuni dall’anagramma di “the alias men”, e da qui inizia la sua inarrestabile fortuna di autore di serie Z e progetti quasi abortiti. Eppure, paradossalmente, la critica apprezzò Una notte a Cottonwood: il New York Times lo definì “diretto con precisione” e il celebre critico Roger Ebert scrisse che “il regista Alan Smithee, un nome che non mi suona familiare, fa sì che la sua storia si svolga con naturalezza”.
Lynch, Friedkin e gli altri Smithee famosi
Il primo successo critico sarà però anche l’ultimo, o quasi. Nell’elenco dei film attribuiti al fantomatico autore, pochi sono quelli degni di nota. Con qualche eccezione. La più importante è quella di Dune di David Lynch, film del 1984 di cui il grande regista non è mai andato particolarmente fiero, al punto da definirlo “una grande e colossale tristezza della mia vita”. Il passaggio dal romanzo di Frank Herbert al film ebbe svariati tentativi, il primo con la regia di Jodorowsky, il secondo con quella di Ridley Scott: tutti falliti. E risultò un flop al botteghino anche il kolossal di Lynch, che firmò la versione per il cinema, ma si rifiutò di fare altrettanto per quella televisiva che finì per portare il nome di Alan Smithee. Tra gli altri registi famosi che usarono l’alias troviamo Dennis Hopper, Michael Mann e William Friedkin.
Smascherato da un mockumentary…
Dagli anni Duemila, però, lo pseudonimo, pur senza cadere in disuso, è diventato meno frequente nelle grosse produzioni, relegato per lo più a horror a basso costo e cortometraggi. La ragione è legata a un film del 1998 che ha smascherato il povero Alan Smithee e ha fatto sì che il suo nome diventasse per il pubblico sinonimo di pessimi film. Parliamo del mockumentary Hollywood brucia (il titolo originale è ancora più chiaro, An Alan Smithee Film: Burn Hollywood Burn), un falso documentario dove intervistati illustri, da Sylvester Stallone a Whoopi Goldberg e Jackie Chan, raccontano la disastrosa realizzazione del primo film di un esordiente chiamato, guarda caso, Alan Smeethie. Peccato che il film, costato 10 milioni di dollari per incassarne solo 52mila, fu veramente un disastro. Al punto da spingere il regista Arthur Hiller (quello di Love Story, per intenderci) ad accreditarsi col nome di… Alan Smithee.
… e risorto con la parodia di Avatar 2
Eppure, a sorpresa, la firma di Alan Smithee è ricomparsa proprio in queste settimane, e in Italia. Il motivo? Nascondere sotto pseudonimo l’autore di Anatar, pellicola popolata di esseri dalla pelle blu e il becco d’anatra, maldestro tentativo di approfittare del successo globale di Avatar 2 con una parodia all’italiana alla maniera dei vecchi film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Con un incasso di 3.900 euro, un flop memorabile. Alan Smithee resta fedele a se stesso.