La lost art, Keith Haring e il mistero del murale scomparso (a Milano)
The gallery of the Lost Art: questo è il titolo di un’imponente esibizione che la Tate Modern ha realizzato nel 2013. Lungi dall’essere una corrente artistica, la Lost Art è piuttosto un filone trasversale che l’arte l’abbraccia tutta: con questa espressione gli esperti indicano l’arte scomparsa, quella che per ragioni spesso più banali che di censura, svanisce e lascia di sé solo una traccia eterea in un film o in un libro (a volte neppure quella).
Il progetto stesso della Tate non poteva che tenerne conto: non a caso si tratta di un’esposizione digitale e immersiva, realizzata coi contributi visivi di Channel 4. Mancando i manufatti originali gli autori si sono impegnati per ricostruirne il percorso dalla nascita alla scomparsa attraverso documenti e filmati in parte inediti. Tra i protagonisti, ma sarebbe più opportuno definirli vittime, del fenomeno della lost art ci sono nomi di tutto rispetto come Marcel Duchamp, Pablo Picasso, Joan Miró, Willem De Kooning, Rachel Whiteread, Tracey Emin e Keith Haring. Quest’ultimo, in particolare, è presente nella Gallery of The Lost Art con un graffito sul muro di Berlino, cancellato nel 1989 dal passaggio della storia, ma non prima che una foto potesse fissarne il ricordo. Ma a ben vedere il catalogo dei lost and (not ) found di Haring è vastissimo.
Lost Art: le opere scomparse di Keith Haring
Nato a Pittsburgh, ma adottato artisticamente a New York, Haring ricambiò l’amore della Grande Mela riempindola di graffiti: vagoni della metro, strade, case, persino le toilette al piano terra del Gay Center di Chelsea. Negli anni 80 era facile trovare tracce del suo passaggio praticamente in tutta la città. Purtroppo per lui (e per noi) la sua furia artistica coincise con gli anni della tolleranza zero di Giuliani, che i murales proprio non li amava. E così molte di quelle tracce sono state cancellate da una mano di calce. La stessa fine toccata in sorte alla street art di SAMO©, lo pseudonimo con cui taggavano Jean-Michel Basquiat e Al Diaz.
Ma Haring non amava solo New York. Una delle sue città del cuore di Milano, che nei suoi diari ha più di 30 citazioni. A Milano Keith Haring si produsse in un iconico murale all’interno del negozio Fiorucci a Piazza San Babila. E qualche anno fa tracce del suo passaggio sono state ritrovate in un appartamento di una palazzina di via Laghetto, che negli anni 80 era stata occupata dai ragazzi dei centri sociali: Haring doveva esserci capitato durante una festa e aveva dipinto due pareti. Lo stesso pare abbia fatto anche in altri appartamenti milanesi, che non sanno di custodire un tesoro. Per lui dipingere del resto era come respirare: difficilmente riusciva resistere a una parete bianca. Persino in discoteca…
Il murale scomparso di Keith Haring a Viale Certosa (Milano)
Un mistero legato all’arte di Keith Haring che meriterebbe un film è quello del murale che l’artista dipinse sul finire degli anni 80 all’After Dark, il mitologico club gay milanese di Viale Certosa, frequentato da stilisti, politici, intellettuali, ballerini e tanta gente comune per cui ha rappresentato un oasi di libertà e divertimento dal 1978 al 1991. L’intervento pittorico di Haring ebbe diversi testimoni d’eccezione. “All’After Dark mi piaceva andare quasi ogni sera”, scrive Pier Vittorio Tondelli in L’abbandono. “Nella saletta attigua al guardaroba Keith Haring passò un’intera serata a scarabocchiare graffiti con un pennarello nero. Esili figurini dai grandi falli. Come una pittura egiziana, però molto porno”. E Joe T. Vannelli che dell’After era il DJ Resident ricorda che: “Haring disegnò due graffiti a tutta parete che al posto dei suoi più noti uomini avevano come protagonisti tanti piccoli falli. Quella sera mi disegnò anche sulla maglietta un omino all’altezza del petto e un enorme pene alato sulla schiena. Sul panno giallo che usava per lanciare i dischi disegnò il Mickey Mouse di Andy Warhol accompagnato da due uomini. Purtroppo vendetti la t-shirt al proprietario del locale, mentre il panno lo conservo in una teca in salotto…”.
Vannelli (e non solo lui) è convinto che il murale di Keith Haring sia ancora lì, sotto l’imbiancatura del McDonald, che oggi ha preso il post dell’After Dark. È davvero così? In realtà, qualche avventore dell’After Dark ricorda che il murale di Keith Haring fu coperto a sua volta da un altro dipinto. Quindi è possibile che chi ha ristrutturato il locale non se ne sia accorto. Il mistero dunque permane. E, come scrive Repubblica: “Alla luce della segnalazione sulla probabile presenza del graffito in viale Certosa 134, l’attuale proprietà già non potrebbe effettuare lavori che rischierebbero di danneggiarlo. Per vincolare l’opera bisognerebbe prima dimostrare che si trovi ancora lì, ma la Soprintendenza può limitarsi a invitare la proprietà a effettuare un sondaggio stratigrafico, senza alcun obbligo. Concludeva Tondelli: “Oggi leggo sul giornale che Keith Haring è morto. Aveva trentun anni. I suoi graffiti valgono migliaia di dollari. Se qualcuno vuol fare archeologia da discoteca, sa dove andare a grattare i muri“. A trent’anni di distanza, andrebbe fatto”.