Ne Il cielo in gabbia di Leunens e il film Jojo Rabbit tutto è possibile
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Il cielo in gabbia è il romanzo della neozelandese Christine Leunens da cui è stato tratto Jojo Rabbit, portato sullo schermo da Taika Waititi, che ha vinto il Premio Oscar come Miglior Sceneggiatura non originale. Tra le ombre e le luci dei suoi protagonisti, dal bambino Johannes Betzler (Jojo) al Capitano Klen, il libro e il film raccontano con apparente leggerezza una pagina tragica della nostra storia, sottolineando l’importanza del coraggio di chi ha provato a cambiare le cose.
È il 1938 in Austria, annessa alla Germania, e a scuola arrivano nuovi insegnanti che trasmettono teorie razziali tese a fare presa sui giovani come Jojo. «Eravamo potenziali eroi di un mondo a venire», si ripete nella testa: tanto da crearsi un amico immaginario speciale, frutto dei suoi ragionamenti da bambino indottrinato: Adolf Hitler. Quindicenne ausiliario alla contraerea, è vittima di un incidente che lo sfigura in volto e gli fa perdere una mano (il film in realtà è molto meno crudo), e durante i momenti in cui resta in casa per riprendersi, scopre che i genitori nascondono dietro a una parete un’adolescente ebrea, Elsa, amica della sorella scomparsa. Quello che la ragazza vede ogni giorno è un cielo in gabbia, nascosta nella stanza della camera da letto della figlia dei Betzler, così come lo è quello del protagonista. Una prigione edificata con mattoni di bugie.
Jojo è un ragazzino come molti, intelligente, sensibile, cresciuto colmo d’amore. Ma l’antisemitismo prima, e l’ideale hitleriano poi, investono il Paese con una violenza progressiva, piantando radici profonde, invadendo ambiti e menti. Uno dei motivi è che l’ammaestramento nazista parte proprio dalla scuola, mutandone la struttura dall’interno, sostituendo materie e insegnanti al fine di infondere l’ideale della supremazia della razza ariana a scapito di tutte le altre: a inculcare il credo per cui i sentimenti rendono l’uomo debole.
E se in questo libro, così come il film (che è arrivato nelle sale italiane dal 23 gennaio), si evince quanto sia facile plagiare i bambini sino a farli sentire perduti di fronte ai gesti più nobili o solidali, saranno proprio questi (l’amore e la forza di volontà di Jojo) a imprimere un cambiamento in una realtà brutale come quella degli anni Trenta.
Dall’istante in cui i suoi occhi vedono Elsa per la prima volta, Jojo comincia una progressiva maturazione. Dapprima, la sua esistenza clandestina in casa è causa di uno stato di delirio, dovuto al pensiero del protagonista di poter piegare su un essere ritenuto inferiore una sorta di volontà. Poi si tramuta in interesse, in paura di perdere quella presenza, e vi si attacca in modo ossessivo, immaginando una relazione con lei. Tanto che, quando la guerra finisce e cade il nazismo, non le dice che è libera di andare via. Le mente, raccontandole che la guerra l’ha vinta il Fuhrer, e che lei deve continuare a restare nascosta, lì, in casa sua, se vuole sopravvivere. Le cose andranno diversamente.
Leggere Il cielo in gabbia, guardare i film di Roberto Rossellini (soprattutto Germania anno zero, che accoglie uno dei finali forse più tragici della storia del cinema), guardare l’adattamento di Waititi che ha trasformato il romanzo in una satira dal tono scherzoso tipico di Wes Anderson, sono tutti modi per approcciarsi meglio ai peggiori momenti della nostra storia, e per osservarli da un punto di vista differente. E quindi cosa apprendiamo? Cosa possiamo trarre dalla vicenda di un bambino ossessionato con il nazismo e innamorato dell’ebrea nascosta tra i muri di casa? Che di errori l’umanità ne ha commessi tantissimi, fetidi, imperdonabili. Ma che da qualche parte dobbiamo trovare il coraggio di modificare il corso degli eventi. Facendoci più grandi di quanti sono venuti prima di noi e recuperando quei valori e quel candore che anche Jojo sembra aver perso a già a 15 anni. Ci vorrà del tempo, ma è necessario.
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