Jane Goodall e il coraggio di ascoltare la nostra voce interiore
Tra le voci autorevoli che si sono espresse sull’emergenza sanitaria in corso, se n’è senz’altro distinta una importante. «È per colpa della nostra mancanza di rispetto verso la natura e gli animali che è nata questa pandemia» ha dichiarato Jane Goodall. «Era una cosa prevista da molto tempo». La pandemia nasce dallo sfruttamento della natura, sostiene, e se non ci fermiamo, se non ritroviamo il giusto rispetto per il nostro pianeta, siamo destinati a distruggere tutto, anche il futuro dei nostri figli. «È una rivoluzione che parte da ognuno di noi. Le nostre azioni hanno un impatto ogni singolo giorno. Ciò che mangiamo, come ci spostiamo, lo stile di vita che adottiamo contribuiscono o meno alla salvezza del nostro pianeta».
Famosissima primatologa e ambientalista britannica, Jane Goodall è diventata nota grazie alla sua incredibile ricerca sugli scimpanzé nel parco naturale di Gombe in Tanzania; con le sue scoperte ha messo in discussione le fondamenta della scienza moderna e ridefinito il rapporto tra esseri umani e animali. L’ha fatto in tempi in cui era ancora del tutto inusuale per una donna accedere alla ricerca scientifica e ricoprire un ruolo importante.
Quando, nel 1960, l’antropologo Louis Leakey le ha assegnato il compito di osservare e studiare gli scimpanzé nella riserva naturale del Gombe, di cui si sapeva ancora poco o niente, Goodall aveva ventisei anni, non possedeva una laurea, né alcuna preparazione scientifica, ma era mossa da una passione incontrollabile. Trasferirsi in Africa e studiare il comportamento animale era sempre stato il suo sogno, ma non aveva avuto il coraggio di crederlo possibile perché era una cosa da uomo: non era socialmente accettabile che lo facesse una ragazza. Eppure la vita, inaspettatamente, l’aveva messa di fronte a questa possibilità e lei l’ha colta al volo. Una volta arrivata a destinazione non ha avuto dubbi: per quanto potesse sembrare insensato, quello era il suo destino, la sua missione di vita.
Goodall è stata abbastanza brava da fare quasi subito un’osservazione rivoluzionaria: gli scimpanzé costruiscono e utilizzano utensili per il loro uso quotidiano.
Per celebrarla, nel 1963 National Geographic le ha dedicato una copertina, raccogliendo però non poco scetticismo: “Una graziosa signorina di nome Jane conduce una vita primitiva tra le scimmie”, “La bella e le bestie” sono alcuni titoli di giornali che richiamavano la notizia. Il fatto che fosse alta, bella e bionda e non avesse qualifiche accademiche lasciava la comunità scientifica perplessa. Grazie alla stampa, però, Goodall è riuscita a farsi conoscere a livello internazionale ricevendo così ulteriori finanziamenti per la sua ricerca. Le sfide erano molte e il discredito da parte di alcune autorità continuava, le ricerche che conduceva, però, fornivano dati sbalorditivi, contribuendo al discorso scientifico in modo consistente. Sono arrivati ulteriori finanziamenti e un pool di studenti e giovani ricercatori hanno cominciato a seguirla costantemente.
Nel 1965, grazie al suo lavoro, Goodall ha ricevuto un Phd dall’Università di Cambridge. È tra i pochissimi, nella storia, ad averlo ottenuto senza una laurea triennale. Nel 1977 è nato il primo istituto Jane Goodall, diventato un’organizzazione mondiale per la conservazione della fauna selvatica e dell’ambiente con, ad oggi, uffici in oltre venticinque Paesi. Grazie a Roots and Shoots, un progetto che si propone di insegnare agli studenti delle scuole di primo grado di tutto il mondo la salvaguardia degli animali e dell’ambiente, Goodall è stata nominata messaggera di pace ONU.
Negli ultimi anni non è mai stata per più di tre settimane nello stesso posto, presa a ispirare generazioni future, confrontarsi con capi di governo e portare avanti il suo lavoro accademico. Gli ingredienti del suo successo, spiega, sono determinazione e duro lavoro, ma anche la capacità e la volontà di ascoltare la propria voce interiore. Dentro di noi sappiamo qual è il nostro destino e non bisogna mai tirarsi indietro.
«Le donne sono state messe in disparte troppo a lungo», dichiara. Per questo in Africa le sue fondazioni elargiscono borse di studio alle ragazze. Le donne, forse per via del loro lato materno, dice, tendono a essere più pazienti e quindi più adatte a occuparsi dell’ambiente, anche se poi ognuno ha in sé geni sia maschili che femminili. «In passato un capo tribù dell’America Latina mi ha detto: noi siamo come un’aquila, abbiamo un’ala maschile e una femminile, e solo se sono entrambe forti riusciamo a spiccare il volo».