Incontrare la natura per incontrare sé stessi: l’arte di Richard Long.
“Sono un artista che fa passeggiate. Una passeggiata definisce la forma della terra nello spazio e nel tempo al di là della scala della scultura o dell’immagine fissa. Alcune delle mie passeggiate sono formali (dritte, circolari, ritmiche) quasi ritualizzate. Mi sono arrampicato intorno alle montagne invece che in cima, ho fatto passeggiate sulla lentezza, passeggiate su pietre e acqua. Ho fatto passeggiate all’interno di un luogo in opposizione a un viaggio lineare; camminare senza viaggiare”.
Richard Long è considerato uno dei massimi esponenti della corrente artistica Land Art nata alla fine degli anni sessanta negli Stati Uniti ma composta da artisti di diverse provenienze. Long nasce a Bristol in Inghilterra nel 1945, è fotografo e scultore, studia presso la prestigiosa St. Martin School of Art di Londra ed è proprio dalla sua Inghilterra che parte il percorso artistico. L’attività di Long si realizza attraverso il camminare nell’ambiente naturale, registrando con grafici e fotografie come la sua azione modifichi l’ambiente circostante. I luoghi prediletti sono incontaminati, come la Bolivia, l’Himalaya, alcune aree dell’Africa, fino alla sua amata campagna inglese e il suo desiderio è evidenziare la distanza tra natura e cultura, tra essere umano e ambiente, quell’estraneità che è sempre più evidente anche a causa della drastica riduzione di luoghi non antropizzati sul pianeta.
Long ci esorta al recupero della dimensione naturale attraverso un contatto diretto e intimo con l’ambiente, libero da mediazioni artificiali tipiche del nostro tempo, ma su ogni cosa ci invita a non aver paura e a rispettare, a vivere e a non predare.
Gli interventi artistici che realizza nei suoi cammini sono di forma geometrica, forme semplici come un cerchio o una linea retta. E’ storica una delle sue prime opere A line made by walking del 1967 attraverso la quale modifica il territorio in cui è immerso camminando avanti e indietro in un fazzoletto di prato seguendo una linea retta che rimane impressa nella sua fotografia di documentazione.
Siamo nel pieno degli anni sessanta, nel mondo dell’arte si affaccia una nuova corrente artistica che prende il nome di Arte Concettuale.
Il fondamento di quest’idea è di ricercare un ordine ideale e teoretico, privilegiando il processo concettuale, progettuale e costruttivo che si realizza nella creazione di un’opera d’arte. E’ una sorta di liberazione dalla schiavitù dell’oggetto materico su cui prevale il progetto e l’idea stessa dell’opera. L’origine del termine Arte Concettuale pare che sia stato coniato da Sol LeWitt (artista concettuale americano) nel suo articolo Paragraph on conceptual art nel 1967. Le esperienze artistiche che seguiranno avranno un impatto radicalmente nuovo e rivoluzionario sul linguaggio artistico dando vita in particolare al Minimalismo e alla Land Art.
Proprio in quell’anno un gruppo di artisti intraprende delle azioni caratterizzate dall’abbandono dei mezzi artistici tradizionali privilegiando l’intervento diretto dell’artista nella natura e sulla natura. Implicito in questo gesto c’è il rifiuto del museo e del sistema commerciale dell’arte che a quel tempo era dominato dalla Pop Art.
Le opere hanno spesso un carattere effimero e la loro diffusione e testimonianza è affidata alla documentazione fotografica e video, e soprattutto ai progetti e agli schizzi. Gli artisti che hanno mosso la loro attività nella natura non puntano ad un risultato materico quanto al processo di realizzazione e all’esperienza che ne consegue. Tra i primi interventi vorrei ricordare i solchi tracciati in un campo di grano e sulla riva ghiacciata di un fiume di Dennis Oppenheim oppure lo scavo profondissimo effettuato nel deserto del Nevada da Michael Heizer ed anche l’impacchettamento con materiale plastico (poi riciclato) e corde, di diverse migliaia di metri quadri di costa nel sud dell’Australia da parte di Christo.
I protagonisti di quest’epoca straordinaria dell’arte, rigorosamente anti-formale ed in antitesi con la figurazione della pop art sono impegnati a portare al centro del dibattito quotidiano i temi ecologici, ambientali e concettuali ormai trascurati dall’urbanizzazione esasperata della società americana dell’epoca che porta allo sfruttamento delle risorse e delle persone perdendo di vista completamente l’equilibrio delicato degli ecosistemi.
Richard Long, come anticipato, opera in luoghi incontaminati, e negli anni Settanta la sua ricerca espressiva si amplifica con lo sviluppo di grandi sculture fondate su segni primitivi, come il cerchio e le spirali, composte utilizzando materiali raccolti durante le sue passeggiate, che durano settimane o mesi. Long si differenzia dagli artisti della Land Art americana per il carattere effimero dei suoi interventi, che sono segni quasi impercettibili lasciati in territori remoti ed in balia degli agenti atmosferici e al trascorrere del tempo, al contrario degli interventi di alcuni artisti come Robert Smithson e la sua The Spiral Jetty del 1970 nello Utah che mira a cambiare il panorama naturale esistente in maniera permanente.
Nell’opera di Long è presente a mio avviso un carattere mistico, una spinta spirituale che si evince dalle figure archetipiche, che richiamano l’arte primitiva che ci ricorda la presenza rispettosa umana sul pianeta da migliaia di anni. E’ nel cerchio che si riconosce il suo lavoro, simbolo di continuità e ciclicità con cui rappresenta il tempo che scorre in natura lento e inesorabile.
Long, oltre alla documentazione fotografica e video, trasporta elementi naturali, trovati durante le sue camminate all’interno di spazi nei quali viene invitato ad intervenire, realizzando sculture di pietre e pitture di fango realizzate con le mani senza uso di medium. Il suo atteggiamento artistico di rispetto per l’ambiente lo posiziona fortemente politicamente e socialmente. Senza ombra di dubbio il suo lavoro è una forma di netta contestazione nei confronti della società contemporanea e consumistica che ha allontanato sempre più l’idea di natura, rendendo l’essere umano sempre più civilizzato e separato dal luogo in cui abita, perdendo ogni punto di contatto. Solo un ritorno al rispetto della natura potrà permetterci una riconciliazione anche con il nostro essere naturali, comprendendo che il nostro legame con il pianeta è essenziale alla nostra sopravvivenza.
La terra è in grado di rigenerarsi e ha dalla sua parte il tempo, quello che noi non abbiamo quasi più.