Il successo di Avatar – La via dell’acqua e come conquistare il grande pubblico
James Cameron ha nuovamente fatto il miracolo, riportando in sala anche gli spettatori che non ci erano mai tornati dai tempi del lockdown, grazie a una storia universale e spettacolare.
Profeti di sventura (smentiti)
Non si finisce mai di dover dimostrare qualcosa. Persino James Cameron, autore di alcuni dei film più visti della storia del cinema (Avatar, Titanic), è stato per l’ennesima volta sottovalutato. Alcuni sedicenti analisti pensavano che i troppi anni passati dal primo capitolo, del 2009, avessero ormai fatto tramontare l’interesse del pubblico verso le avventure del pianeta Pandora e verso Avatar – La via dell’acqua; altri affermavano che invece Cameron stesse spendendo troppo e avrebbe portato alla rovina la Disney.
Tutti questi discorsi sono stati polverizzati dal successo in sala, che non accenna a finire. La differenza tra i blockbuster creati da Cameron e quelli dei supereroi è ampliata dal passaparola, che immancabilmente si genera in senso positivo. Anche per Avatar – La via dell’acqua le prime settimane al box office mostravano le stesse cifre solitamente guadagnate dal Marvel Cinematic Universe, ma – mentre l’interesse del pubblico in quei casi si spegne dopo la corsa dei primi giorni – i film di Cameron crescono a distanza, perché gli spettatori consigliano la visione ad altri spettatori e non di rado pagano il biglietto una seconda volta per riguardare il kolossal. Ma in che cosa consiste la “qualità” di Avatar – La via dell’acqua?
Solo effetti speciali o creazione di un mondo?
Un termine che si usa spesso in questi anni è world building (costruzione di un mondo). Qualunque saga che si rispetti – dal Signore degli anelli a Il trono di spade – per essere vincente deve creare un universo narrativo e figurativo credibile, solido, verosimile. Pandora lo è. Qualcuno ha detto che il pianeta descritto da Cameron in fondo è la Terra per come la vorremmo: ecologica, armonica, bellissima e potente. Ma gli umani, in questo caso, sono i cattivi, mentre i Na’vi – popolazione indigena – sono coloro che cercano di preservare il loro habitat dallo sfruttamento violento degli invasori. Una metafora dei rapporti di forza tra Nord e Sud del mondo, che suona forte e chiara anche come messaggio ambientalista per le masse. Inoltre, mentre gli altri film di fantascienza di questi anni insistono sulla tecnologia e la rappresentazione di un mondo sempre più virtuale, Avatar – La via dell’acqua cura nei minimi dettagli l’aspetto biologico, la connessione tra esseri viventi, un ecosistema grandioso che viene – appunto – costruito con assoluta precisione. In più c’è un racconto archetipico, dove i buoni e i cattivi sono nettamente divisi e molto riconoscibili, ma c’è spazio per una riflessione sulla famiglia, e sul ruolo dei figli nei confronti dei padri.
Nel blu dipinto di blu
Eppure, senza un apparato visivo come quello ideato da Cameron e dalla Weta Digital (formidabile compagnia di effetti digitali), nulla suonerebbe autentico. Anche rispetto a tredici anni fa, la tecnica ha fatto passi da gigante, e oggi ogni corpo, ogni pianta, ogni animale, ogni goccia d’acqua sembra talmente vera da poterla toccare (specie se avete scelto di vedere la proiezione in 3D, quindi con un effetto “immersivo” stupefacente). Da una parte Cameron, quindi, innova la tecnologia applicata al cinema ponendo un’asticella altissima con cui le future produzioni di massa dovranno confrontarsi; dall’altra è come se fosse tornato ai primordi del cinematografo, a inizio ‘900, quando le storie erano poco raffinate e al pubblico veniva offerta soprattutto un’esperienza sbalorditiva con un nuovo mezzo appena inventato. Cameron reinventa il cinema ogni volta, mantenendo orgogliosamente l’idea che i grandi film vadano visti su grande schermo, facendosi rapire i sensi per tre ore, senza pensare ad altro e senza compulsare il cellulare sbadigliando ogni mezz’ora.
Il ricorso insistente a elementi come l’acqua, la pelle blu dei Na’vi, l’azzurro del cielo, a volte sembra persino stucchevole, ma sono anche i colori più rilassanti, pacifici e profondi che esistano. Andare con gli occhiali 3D su Pandora vale come un viaggio su una spiaggia tropicale? Forse no, ma apre a un futuro di cinema in realtà virtuale in cui potremo davvero muoverci in un pianeta lontano come se fossimo là, insieme ai protagonisti del film.