Il senso del cinema per la neve
IL FILM INVERNALE
Il cinema ha una stagionalità. Ciò significa che certe pellicole escono in certi momenti a seconda del periodo dell’anno in cui ci troviamo. Non è un caso che un noto prodotto del nostro cinema popolare abbia ottenuto un nome (cine-panettone) chiaramente ispirato alle date in cui veniva distribuito. E la stessa cosa per i suoi succedanei (la cine-mimosa come film per l’8 marzo, o il cine-bacio a indicare i titoli romantici solitamente proposti per San Valentino).
Più in generale, i film tendono ad accordarsi al clima che c’è fuori dalla sala, così da rendere l’esperienza spettatoriale sintonica con quello che gli accade intorno. C’è anche un motivo di attenzione psicologica. Per esempio negli Stati Uniti d’estate escono soprattutto blockbuster con effetti speciali, perché si pensa che con il caldo le persone entrino nelle sale con aria condizionata principalmente per divertirsi, sfuggire alla morsa dell’afa e consumare due ore disimpegnate. Mentre d’inverno escono i film da Oscar, quelli cui dedicare maggiore attenzione, al tepore della poltrona e nel pieno della stagione fredda, per sua natura portata a una maggior riflessività (scuole e università sono al lavoro, la cultura propone il suo meglio, ecc.).
IL FOTOGENICO INVERNO
E dunque è più facile incontrare film ambientati nella stagione che effettivamente si sta vivendo. Ma quali sarebbero le opere cinematografiche più memorabili ambientate nel periodo freddo? Intanto quelle che lo annunciano fin dal titolo. Pensiamo per esempio al profondo Racconto d’inverno del maestro Eric Rohmer, uscito nel 1992, e parte di una tetralogia non a caso chiamata Racconti delle quattro stagioni. Per Rohmer l’inverno è il co-protagonista della ronde amorosa dei suoi personaggi, tra nasi arrossati e sciarpe strette al collo. Lo stesso vale per il piccolo L’inverno (2002) di Nina Di Majo con Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi, dove è “l’inverno dei sentimenti borghesi” ad essere più allegoricamente messo in scena. Ma pensiamo anche a un cult come Insomnia (2002) di Christopher Nolan, spietato thriller con Al Pacino, dove le lunghe notti dell’estate artica, quando il sole non tramonta mai, rendono i protagonisti quasi alienati e incapaci di distinguere il vero dall’allucinazione. E, a proposito di film inquietanti, nessuno potrà dimenticare l’hotel vuoto nell’inverno spiritato di Shining (Kubrick, 1980), con il labirinto di neve e ghiaccio a simboleggiare la perdita del lume della ragione.
LE NEVE TRA I FOTOGRAMMI
Se il paesaggio invernale è affascinante – o terrorizzante, ma si tratta pur sempre di una seduzione nei confronti delle emozioni di chi guarda – la neve ne è il correlativo oggettivo più riconoscibile. I film dove la neve è protagonista sono molto apprezzati, sia perché amiamo la neve anche nella vita reale, sia perché vedere i fiocchi e i cumuli sullo schermo ci porta a sensazioni quasi infantili. Non è un caso che uno dei capolavori della storia del cinema, Quarto potere (1979) di Orson Welles, nel raccontare la cinica scalata alla ricchezza di un cittadino americano, gli riservi uno struggente ricordo infantile di quando giocava con la slitta nella neve, a casa sua, poco amato da una famiglia pronta a liberarsene. Certo, la neve è anche e soprattutto montagna – sulle cui imprese, scalate o semplicemente ambientazioni ci sarebbe da scrivere un saggio a parte – ma quando diventa oggetto narrativo le cose si fanno interessanti. Qualcuno ha apprezzato di recente un piccolo film, Forza maggiore (2014), di Ruben Ostlund in cui un padre di famiglia, terrorizzato da una valanga, abbandona moglie e figli al loro destino. Sopravvissuti, i parenti passano il resto del film a capire, delusi, perché la paura abbia sottratto ogni umanità all’uomo. Forse il protagonista non aveva Il senso di Smilla per la neve (1997), tratto dal best seller di Peter Hoeg: si tratta del titolo e della rappresentazione più famosi per tutto quel che concerne la neve come paesaggio e come espressione esistenziale.
Le distese innevate, poi, sono del tutto indispensabili per comprendere la malinconica follia dei personaggi di Fargo (il mitico noir del 1996 dei fratelli Coen) o di The Revenant (western di sopravvivenza estrema diretto da Alejandro Iñarritu del 2015), a riprova che non ci sono generi o toni – dalla commedia alla tragedia – che non si addicano alla neve. E chiudiamo con il più struggente dei melodrammi del cinema italiano: Le notti bianche (1957) di Luchino Visconti, in cui Marcello Mastroianni vive una commovente disillusione d’amore sotto i fiocchi indifferenti di una Livorno spettrale.