Il ritorno di Titanic e la voglia di grandi storie
Il grande successo di James Cameron torna in sala dopo 25 anni, grazie al fatto che è ormai considerato un classico contemporaneo
L’iceberg del cinema
All’inizio del film l’anziana Rose osserva le ricostruzioni grafiche del disastro del Titanic ma, scontenta della freddezza informatica della rappresentazione, decide di raccontare la sua storia. Il cinema è tutto qui, in questi pochi minuti attraverso i quali James Cameron – Re Mida di Hollywood come nessun altro nell’industria dell’ultimo quarto di secolo – spiega la differenza tra il reportage e il racconto, tra il tentativo di riattualizzare un fatto storico e la licenza poetica dell’autore. Nasce in questo modo il lungo racconto che ci porta all’interno delle plance e dei pontili della più famosa nave della storia marittima, in un percorso che incrocia melodramma e disaster movie e la cui fusione di sentimento e tecnologia rimane ancora oggi insuperata.
Gli affetti speciali
Alcuni critici rimproverarono a Cameron una certa cattiva coscienza. Se quell’incipit di Rose prometteva, infatti, la “vera storia” del Titanic, da quel momento in poi si imponeva invece la massima falsificazione possibile. Un trionfo degli effetti speciali digitali e una ricostruzione ben più estrema di quella lamentata dalla protagonista ormai anziana. Se si pensa a questo, però, non si è capito molto della poetica cinematografica di Cameron. Esattamente come nei due Avatar, già Titanic dimostrava che la tecnologia deve essere al servizio dei sentimenti, fin quasi a creare un effetto di autenticità più vera del vero. Quello del Titanic è infatti un mondo tangibile, concreto, dove ci sembra di essere davvero nel 1912 e realmente in pericolo di vita tra corridoi inondati, scialuppe prese d’assalto, perdita di equilibrio a prua e a poppa, in balia di una forza naturale – anch’essa in larga parte simulata – contro cui possiamo fare ben poco. Insomma, questo kolossal (come si usava dire negli anni Sessanta, espressione ben più evocativa rispetto a “blockbuster”) è rimasto nella memoria collettiva non certo – o non solo – per gli effetti speciali in sé bensì casomai per gli affetti speciali che ha saputo evocare, attraverso una delle più belle e tragiche storie d’amore dai tempi di Via col vento.
Jack e Rose
I grandi film della storia del cinema possiedono il più delle volte una dimensione emotiva incarnata dagli attori, e in particolare dal momento specifico nel quale vivono il loro personaggio. Leonardo DiCaprio aveva 22 anni e Kate Winslet 21 al momento della realizzazione (e, incredibilmente, erano già considerati due degli interpreti più promettenti di fine anni Novanta). Tutta la sfrontatezza, la sensibilità, la giovinezza, l’ardore, la generosità e il coraggio che i due personaggi esprimono, alle prese con un disastro enormemente più grande di loro, proviene anche dal talento dalle due future star. Jack con la sua innocenza irriverente, la sua voglia di ribaltare le convenzioni sociali; Rose con il suo aspetto aristocratico, i suoi modi elitari, ma anche con la sua passione e la sua trasparenza di ragazza come tutte le altre; entrambi sono modelli in grado di sedurre tutti gli spettatori del mondo, e di ottenere un seguito di massa persino superiore alle più rosee aspettative (il film, prima di uscire, veniva considerato un probabile flop: una delle tante profezie cinematografiche completamente errate).
Il successo globale di Titanic è anche la dimostrazione che per emulare il fascino dei classici del passato è necessario in fondo recuperare sentimenti eterni e storie archetipiche. In quel fine secolo pieno di autori provocatori (da Quentin Tarantino a Oliver Stone), segnati da un certo “cattivismo” desideroso di rovesciare le convenzioni, Cameron agiva al contrario e proponeva una love story sullo sfondo di un naufragio, con finale che strappa le lacrime senza essere…strappalacrime. Rivederlo oggi non farà che confermarne l’unicità e la lungimiranza.