Il festival di Cannes e lo specchio del cinema
UNA GIURIA COMBATTUTA
Con un discorso molto ironico, il Presidente della Giuria del Festival di Cannes (giunto alla 75esima edizione) Vincent Lindon ha confessato al pubblico che il lavoro con i colleghi, pur amichevole e appassionante, si è rivelato molto complesso, grazie all’alta qualità dei film selezionati. Questa indecisione si è poi confermata nei premi, che hanno fatto spesso ricorso allo strumento dell’ex aequo per poter allargare la platea dei trofei e raggiungere un maggior numero di film.
Alla fine la Palma d’Oro è andata, per la seconda volta nella sua pur breve carriera, al regista svedese Ruben Östlund, che con il satirico Triangle of Sadness ha bissato l’alloro ricevuto per The Square nel 2017 (il vincitore è atteso nelle sale italiane in autunno). Tra gli altri premi si segnala il Premio della giuria con due film alla pari. Uno è EO del maestro polacco Jerzy Skolimowski e l’altro Le otto montagne, dall’omonimo best seller di Paolo Cognetti con Luca Marinelli e Alessandro Borghi (quindi una piccola quota italiana, anche se i registi sono olandesi, Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen).
Peccato per Mario Martone, che con il suo bellissimo Nostalgia – tratto dall’altrettanto riuscito romanzo di Ermanno Rea – ha mostrato Napoli e il Rione Sanità con uno sguardo dolente e inedito.
SCONFITTI (O VINCITORI?)
Si pensa spesso che i festival siano una gara, e che rimangano nella memoria solo i vincitori. Nulla di più sbagliato. A parte il fatto che spesso sono stati i titoli dimenticati dalla giuria a fare più strada nei mesi successivi, sia nel cuore del pubblico sia in altre competizioni come gli Oscar, ma soprattutto queste grandi rassegne dovrebbero servire a ben altro. Per esempio a scoprire nuovi talenti, a proporre una sorta di “bio-diversità” cinematografica rispetto a ciò che il mercato e la grande distribuzione propongono (talvolta in maniera superficiale). Oppure a celebrare un settore – il cinema d’autore – che sembra in crisi e che fatica a trovare sostituti all’altezza dei maestri che invecchiano.
Quindi anche chi torna a casa con le pive nel sacco non si può dire davvero sconfitto. Pensiamo all’accoglienza che ha ricevuto David Cronenberg, genio visionario del cinema estremo (e regista che ha portato l’orrore nel regno dell’arte contemporanea). Il suo Crimes of the Future avrà in ogni caso un successo straordinario per il solo fatto di celebrare il “come back” di un cineasta di culto, con un cast stellare: Léa Seydoux, Kristen Stewart, Viggo Mortensen.
E anche il nostro Marco Bellocchio (pur Fuori Concorso) ha mostrato a Cannes voglia di sperimentare, se è vero che propone per la prima volta una serie televisiva – Esterno notte, in autunno sulla RAI – che viene distribuita subito al cinema in modo sperimentale, con due mega-episodi di quasi tre ore, come fece all’epoca La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana.
E GLI SPETTATORI?
A Cannes si gioca sempre un’altra partita, più importante, quella del cinema in sala. In Francia, patria della cultura cinematografica, hanno quasi del tutto superato la crisi pandemica nei cinema mentre in Italia – dove in sala vige ancora l’obbligo di mascherina – la perdita di spettatori arriva a oltre il 50% rispetto agli anni pre-Covid. Il festival della Croisette, per di più, rifiuta di mettere in concorso film prodotti da e per piattaforme come Netflix o Prime Video, per marcare la distanza dal cinema visto in luogo domestico e difendere strenuamente un settore in difficoltà.
È una battaglia fondata? O non rischia invece di essere fuori tempo massimo? La Mostra del Cinema di Venezia, per esempio (forse anche per distinguersi dal grande concorrente) ha operato scelte diverse e ospita regolarmente film finanziati dai servizi streaming, anzi in alcuni casi essi hanno vinto importanti premi, come Roma di Alfonso Cuaròn o È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino.
Poco importa quale strategia sia la migliore. Ai festival come Cannes chiediamo principalmente di ricordarci che il cinema è un mezzo artistico unico e che il rapporto tra spettatore e grande schermo è comunque un’esperienza unica, diversa da tutte le altre. Ora tocca a cineasti e distributori portare sui nostri schermi tanti film interessanti e costruire una stagione, quella 2022-23, che ci aspettiamo irresistibile per uscire dalla crisi e tornare a gustare in massa il cinema in sala.