I fashion film
Il rapporto tra cinema e moda è tra i più ricchi che esistano nel contesto delle arti creative. Entrambi a lungo snobbati dal circuito della cultura alta, hanno saputo costruire un capitale simbolico molto autorevole nel corso del Novecento, finendo oggi con l’essere ammessi a pieno diritto nel patrimonio umanistico. Basti pensare che fino a qualche decennio fa pensare di restaurare un film classico, aprire un museo di moda, archiviare abiti importanti o dedicare una mostra a un regista (o a uno stilista) erano azioni che avrebbero mosso a indignazione i quartieri alti del sapere elitario.
Per questo motivo, cinema e moda si sono spesso alleati, prima attraverso l’apporto di grandi stilisti ai film – come Givenchy per Colazione da Tiffany, Saint-Laurent per Bella di giorno o Armani per American Gigolo – poi portando direttamente dietro la macchina da presa i grandi fashion designer – si pensi all’attività avanguardistica di Karl Lagerfeld o al Tom Ford cineasta sublime. Da alcuni anni, inoltre, si è fatta strada una nuova tendenza, i cosiddetti fashion film, che ibridano il meglio dei due mezzi espressivi.
Da non confondere con gli spot (di cui esistono comunque versioni straordinarie, come la pubblicità in bianco e nero di Martin Scorsese con Matthew McConaghuey e Scarlett Johannson per Dolce&Gabbana), i fashion film hanno un rapporto molto indiretto con la vendita commerciale e la promozione. Sono cortometraggi ideati da brand e case di moda, in cui vengono coinvolti parimenti registi importanti e videomaker esordienti, dedicati alla ricerca visiva e artistica, pensati per circolare facilmente sul web e nei festival dedicati, talvolta proiettati a supporto delle sfilate, talaltra in occasione del lancio di qualche collezione.
L’idea è quella che il brand si faccia portatore di una visione creativa del mondo e attragga a sé i talenti dell’audiovisivo. L’avvento di Internet ha cambiato tutto, permettendo a visionari come Nick Knight di lanciare già nel 2000, con spirito pionieristico, il sito showstudio.com, reinventando il rapport tra moda e immagini. Tra gli esempi dell’ultimo decennio, non si può che partire da Miu Miu, che dal 2012, insieme alla Mostra del Cienma di Venezia, ha lanciato il progetto Women’s Tales, corti sperimentali tutti diretti da donne registe del panorama internazionale, con esiti spesso entusiasmanti. Di recente, Gucci ha lanciato una serie di brevi film, tra il gender fluid e la riflessione meta-narrativa, diretti dal cineasta cult Gus Van Sant. E Prada ha omaggiato la tradizione felliniana e surreale del cinema italiano attraverso Castello Cavalcanti diretto da un autore molto attento al rapporto tra grande schermo, design e fashion, come Wes Anderson.
Ancora, potremmo citare i lavori di Matteo Garrone per Dior, molto interessanti per come il regista italiano riesce a rispettare la dimensione favolistica e arcaica di certi suoi film (Il racconto dei racconti, Pinocchio), pur omaggiando l’immaginario floreale del committente. Ma lavorano con acume anche marchi meno celebri, come la giovane designer francese Olympia Le-Tan, che ha convinto Spike Jonze a realizzare Mourir Auprès de Toi con la tecnica stop-motion ed esaltare i curiosi libri-borse di feltro da lei creati.
Il momento, insomma, è molto vivace, e si inserisce in una fase di profonda ristrutturazione del mercato fashion, dove – anche a causa della pandemia – la consueta vicinanza di corpi e di spazi, di feste e di presentazioni, di attività promozionali e di esibizione, è stata inevitabilmente rallentata e tutti (dal più ricco brand al più indipendente designer) stanno cercando nuove forme di comunicazione.