Il Giro d’Italia compie 100 anni ma non li dimostra: è più giovane che mai
Come mi è già capitato di raccontare, il motto che ha dato il titolo alla mia autobiografia C’è anche domani viene da un episodio ciclistico legato al Giro d’Italia: la mia grandissima delusione per la sconfitta di Coppi e la rassicurazione di mio padre sul fatto che c’è sempre il futuro ad attenderci e ripagarci. Mi piace ripetere quest’aneddoto perché il Giro è proprio così: nell’edizione 2017 attualmente in corso compie 100 anni, ma la sua passione e la sua forza sono sempre proiettati nel futuro.
Certo, il successo di una manifestazione sportiva che ancora oggi infiamma i cuori di moltissimi italiani si basa in gran parte sul suo glorioso passato. Chi non ha ricordi o aneddoti legati, appunto, a Fausto Coppi? O chi non rammenta, fosse anche solo per sentito dire, la sua leggendaria rivalità con Gino Bartali? In un Paese come il nostro che ama spesso dividersi, anche l’opposizione fra coppiani e bartaliani è stata una gara frenetica ma sempre simbolo di un coinvolgimento sportivo totale, in cui le schermaglie pubbliche erano sempre compensate da un grande fair play privato. Fino al ritiro di Bartali nel 1954, i due ingaggiarono una sfida senza quartiere che tenne col fiato sospeso i grandi appassionati di ciclismo, non solo in Italia ma anche nel mondo.
Ma ogni decennio della competizione della maglia rosa ebbe i suoi eroi: da Gimondi a Moser, da Bugno a Cipollini e poi Pantani, Cunego, Savoldelli, Basso. Loro sono stati fra gli assoluti protagonisti, assieme ovviamente a tanti corridori stranieri, che hanno fondato la mitologia di questo secolo di ciclismo. Nel libro che ho scritto con Pier Augusto Stagi, 100 storie un Giro (Mondadori), abbiamo appunto ripercorso le tappe più epiche, quelle che hanno tenuto gli italiani col fiato sospeso, quelle che fino ad oggi hanno significato molto non solo per lo sport ma per il Paese intero.
Tuttavia non si tratta solo di storia, come dicevamo. Il fatto che il Giro d’Italia compia cent’anni vuol dire molto anche per quello che siamo e per quello che diventeremo: una nazione capace di riunirsi attorno ai suoi migliori atleti, con la volontà di coltivare la passione, la tenacia e l’impegno, puntando sull’eccellenza dei propri giovani. Non a caso questo centenario ha una valenza altamente simbolica: esattamente come il giro del 2011 (quello dei 150 anni dell’Unità d’Italia) era partito da Torino, nostra prima capitale, questa edizione 2017 ha coinvolto tutta la penisola e non solo, partendo dalla Sardegna e passando per la Sicilia.
Il Giro d’Italia siamo noi, con i nostri pregi e i nostri difetti. Ma soprattutto lo sono quei grandi, piccoli eroi che scalano montagne, pedalano per ore, si gettano in volate in cui mettono la vita, rendono imprese disumane umanissime. Anche quest’anno tifiamo per il nostro Vicenzo Nibali, un atleta epico che va inserito nel pantheon dei veri e propri eroi del nostro ciclismo. E anche se, soprattutto nelle tappe di questi giorni, il colombiano Nairo Quintana gli sta dando filo da torcere, non perdiamo le speranze. Il Giro di quest’anno sarà imprevedibile fino all’ultima tappa del 28 maggio, un’eccezionale cronometro anch’essa molto simbolica: partirà dall’Autodromo di Monza, altro tempio dello sport italiano, per giungere come da tradizione a Milano.
E a proposito di Nibali, vorrei citare un’ultima storia che dà l’idea di come il Giro non sia solo una gara, ma il sunto di tanti valori che vogliamo trasmettere alle generazioni future, perché non dimentichino mai da dove vengono e dove sono destinate ad andare. E questa storia è dedicata alla memoria di Michele Scarponi: era un atleta straordinario, uno scalatore sopraffino, che il destino ha portato via troppo presto, lo scorso aprile. Professionista indefesso, dalla grande gioia di vivere e pedalare, si è in numerose tappe sacrificato per favorire il suo capitano Nibali, dimostrando come i migliori sono spesso quelli che rinunciano alla gloria personale per il successo di tutti.
Un caso commovente, un esempio di dedizione, di sacrificio e di collaborazione che deve essere portato a modello per i nostri ragazzi. Perché il Giro d’Italia rimarrà sempre giovane finché riuscirà a trasmettere a quante più persone possibili, nelle fortune e nelle avversità, questi valori fondamentali che infondono il ciclismo ma anche la nostra stessa visione della vita.