Fare delle proprie vacanze una gallery fotografica di Instagram
Le grandi mete sono sempre più affollate di persone alla ricerca di photo opportunity per i social: l’undertourism vuole farci fare un passo di lato.
Vi è mai capitato di incrociare su TikTok questi video ironici a tema viaggi? In genere si chiamano “Expectation vs Reality” e ci mostrano scatti irreali e plasticosi in stile Instagram, messi di fianco alle tristi realtà che si celano dietro a gite che ci si auspica da sogno: le file interminabili per fare le foto ai tramonti di Bali, la ressa sulla spiaggia di Minorca, l’oceano di braccia pronte a girare video dalle scogliere di Positano.
Al di là dei meme e dell’amara risata, questa tendenza social inquadra perfettamente un tema che l’Instagram aesthetic — l’esigenza estetico-contenutistica di trovare la foto perfetta nel luogo perfetto — ha reso ancora più contemporaneo, e che mette al centro non solo il nostro quotidiano come viaggiatori e fruitori di posti di vacanza, ma il modo stesso in cui viviamo su questo pianeta: la necessità di affollare dei posti perché universalmente ritenuti belli, mozzafiato, ricchi di photo opportunity, ignorando le eventuali conseguenze per il territorio.
L’agenzia Extreme, lo scorso anno, ha analizzato circa 300mila post di Instagram pubblicati tra giugno e agosto per uno studio chiamato Instagrammable Italia 2022: una serie di prevedibili scatti di pizze e calici “correlati all’esperienza di viaggio e selezionati tramite precisi hashtag”, dalle affollatissime piazza della Signoria, piazza San Marco, Fontana di Trevi. In una parola: uno spaccato virtuale, ma altrettanto fedele, di una parte rilevante dello stato del turismo in Italia.
L’impatto di questa industria su una determinata destinazione, specie se battuta in massa e senza troppi scrupoli per il territorio locale, è definito dalla World Tourism Organization “sovraffollamento turistico” o overtourism: ossia il risultato “del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori”.
Qualche settimana fa Responsible Travel, citata dalla rivista online di Zanichelli, ha pubblicato un report su questo fenomeno includendo tre destinazioni italiane – Venezia, Cinque Terre e Roma, appunto – tra le 98 selezionate e in pericolo di snaturamento del territorio, fra potenziali desertificazioni del tessuto sociale, fragilità morfologiche e scarsa sostenibilità.
Alcuni siti in particolare, come l’agglomerato urbano di Rimini, ogni anno farebbero registrare fino a 7 milioni di turisti, con uno sfruttamento di suolo e coste in grado di arrivare al 95%. E il tendenziale, di anno in anno, non sembra affatto volgere verso il basso.
Secondo le previsioni dell’istituto Demoskopika, per fare un esempio, si prospetterebbe un 2023 da record per il turismo italiano, con oltre 442 milioni presenze e una crescita del 12,2 percento rispetto al 2022: il valore più alto di sempre, con arrivi totali che farebbero registrare il terzo dato più elevato della storia.
Eppure, così come il sovraffollamento turistico riempie le nostre piazze, da qualche tempo – a livello terminologico, ma anche come sorta di “buona pratica” – ha cominciato a diffondersi il suo contrario: l’undertourism, la tendenza di una parte di turisti a scegliere località alternative, meno mainstream, più sostenibili. Una specie di risposta alla sistemica erosione di spazi e bellezze dei territori turistici.
“L’undertourism è una reazione, anche polemica, al turismo instagrammabile concentrato in poche località dove farsi un selfie e dove si arriva in genere con compagnie low cost”, ha spiegato Claudio Visentin, docente di Storia del Turismo all’Università della Svizzera Italiana, alla rivista The Good Life. “È un turismo fuori rotta, lento, che sceglie destinazioni marginali fino a quel momento impensate e dove – sulla carta – le masse non arrivano”.
È stato, per esempio, il caso delle decine di realtà locali che hanno cercato negli anni di promuovere mete vicine e meno convenzionali – si pensi per esempio agli appennini liguri, talvolta trascurati dal turismo balneare che tipicamente affolla le spiagge della regione. Ai comuni che hanno cercato di regolare l’apertura di alberghi e b&b nel centro cittadino. O si pensi, ancora, alla scelta di eleggere Brescia e Bergamo come Capitale italiana della Cultura del 2023.
Tra esercizi di stile e risultati più o meno confortanti, il magazine cita il caso di Amsterdam: che ha visto passare il numero di turisti dagli 11 milioni del 2005 ai 22 del 2022, e dove per tutta risposta si è cercato di sviluppare piani per favorire i servizi sociali, di lanciare programmi per invogliare i turisti a visitare tutto il paese, e si è addirittura arrivati a rinominare spiagge e castelli fuori mano con il brand “Amsterdam” per disperdere la pressione turistica sul territorio.
E sebbene le critiche a questo approccio non manchino – fra chi ritiene che sarebbe addirittura pericoloso per l’intero pianeta, chi dice che non è “il vero problema”, e liste di posti magnifici “lontani dalla folla” pronti però da occupare – la filosofia dell’undertourism, applicata e allargata ai massimi sistemi, sembra quasi aderire all’estetica realista del de-influencing: quel trend per mezzo di cui gli influencer provano a dire dei no, e a sconsigliare, piuttosto che a promuovere prodotti e stili di vita irraggiungibili. Ad abbracciare il low-budget.
La strada controintuitiva che porta Arthur C. Brooks su The Atlantic a suggerirci di stilare delle not to do list: la via negativa attraverso cui riconoscere cosa non vogliamo e cosa evitare.
Visto così, l’approccio realista e consapevole dell’undertourism sembra quasi poter interpretare naturalmente una generazione o un’epoca in profonda recessione (non a caso si parla di recessioncore, nella moda e non solo) trovando nell’estremizzazione del genuino e dell’imperfetto – come ci insegna la storia di Influencer Povera – un motivo per sopravvivere a un mondo che forse ci ha voluti perfetti per troppo tempo. E che ci ha tenuto nascosta Pellestrina dietro al luminoso, immortale fascino di Venezia.