Don’t let me be misunderstood
La canzone Don’t let me be misunderstood venne scritta nel 1964 dal cantautore Bennie Benjamin e incisa, per la prima volta, dalla cantante jazz Nina Simone. La interpretò con la sua grande e languida carica emotiva, trasmettendo una tensione romantica e drammatica allo stesso tempo, tipica dello stile della tormentata artista jazz.
Negli anni sessanta, come noto, le canzoni vivevano diverse vite. Era consuetudine, infatti, che venissero pubblicate e reinterpretate da più artisti, talvolta con uscite pressoché simultanee. Gli album, all’epoca, erano infatti pieni di cover, e i cantanti, per lo più, interpreti.
L’anno successivo alla pubblicazione della versione di Nina Simone, questa canzone venne presa in mano dagli Animals. La giovane band inglese, reduce dalla riuscitissima reinterpretazione della classica The house of the rising sun, applicò la propria miscela di blues, beat e rock n roll anche agli spartiti di Don’t let me be misunderstood, realizzandone una versione decisamente più adolescenziale, se paragonata al canto più “adulto” di Nina Simone.
Nel tempo venne riletta in tantissime chiavi, ma la versione più ballata è sicuramente quella che i Santa Esmeralda pubblicarono nel 1977, che diventò una hit del nuovo movimento disco music prossimo alla conquista delle discoteche di tutto il mondo.
La canzone ruota attorno al concetto di “misunderstanding”. Il/la protagonista di questa vicenda non vuole che le sue parole siano “fraintese” dal suo interlocutore/partner, quasi giustificandosi o chiedendo una maggiore comprensione.
Dagli anni sessanta sembra che il tempo si sia fermato.
Quante volte ci troviamo dalla parte di chi non è compreso o da quella di chi non comprende? Perché non ci capiamo?
Questo testo, ci fornisce un bell’assist per farci delle domande sul nostro tipo di interazione con il prossimo. Le varie versioni di Don’t let me be misdunderstood sono solo uno dei tanti esempi che ci dimostrano come un unico concetto, in base a come viene espresso, possa trasmettere più sfumature e significati.
E se un’unica frase di una canzone può suonare più drammatica stile “ ti prego non mi lasciare” nello stile Simone, oppure più “spaccona”, della serie “hey babe non fare così”, nella versione dei Santa Esmeralda, figuriamoci quando le parole utilizzate non aderiscono al 100% al significato che gli si vorrebbe imprimere.
Pensiamo alle quelle volte in cui nei nostri discorsi, di persona o via messaggio, volano queste frasi: “Eh ma tu avresti dovuto capire”, “lui avrebbe dovuto capire”, “cosa non ti è chiaro di quello che ho detto?”, “mi sembrava di avertelo detto in una lingua a te comprensibile, ma non hai capito”. Per non parlare di “no guarda tu avevi detto…”, “stai rigirando la frittata…”, “ ma e sembrava di aver capito…”
In questi incidenti gli esperti di comunicazione ci insegnano che è bene tirare fuori dal cruscotto la constatazione amichevole e redigere un bel concorso di colpa, perché quasi sempre la responsabilità è condivisa.
Siamo sicuri di aver espresso correttamente quello che volevamo dire? Ci siamo chiesti se le parole utilizzate, sono veramente aderenti al bisogno che stiamo esprimendo? Stiamo facendo un monologo? Abbiamo ascoltato le parole che ci sono state dette senza aver attribuito loro un significato troppo “personalizzato”? Siamo consapevoli che il tono e la modalità con la quale diamo il via ad una dinamica comunicativa, sarà quella che caratterizzerà tutta la discussione?
Purtroppo non esistono delle palestre della comunicazione in cui poterci allenare per sperimentare modi alternativi a quelli che conosciamo, ma la possibilità di lavorarci su c’è attraverso dei professionisti. Perché un po’ la buona o mala educazione, un po’ la timidezza, la rabbia, la paura di mostrare troppo un’emozione, ci fa cercare degli escamotage per dire o non dire qualcosa. In questi casi, quasi sempre, il nostro interlocutore percepisce qualcosa di strano nel nostro messaggio; mettetevi nei suoi panni. Ci si sente, come minimo, presi in giro.
Pensiamo ad esempio ad una persona con un’ andatura sommessa che dice “sto bene”, oppure un volto accogliente che sta per chiederti qualcosa che ti metterà in difficoltà, un atteggiamento arrogante che in realtà richiede accoglienza o una persona che tenta di parlarti con calma nonostante una evidente vena pulsante sulla fronte. Come detto, certe volte è buona educazione, per non dire necessario, gestire il proprio modo di comunicare, ma è un processo che richiede di essere calibrato al millimetro in ogni occasione onde evitare effetti collaterali indesiderati. Aumentare l’auto osservazione, provando a non dare per scontata la nostra capacità di interazione, può sicuramente essere una strada da percorrere per non avere (brutte) sorprese nelle nostre relazioni.
Certe volte sembra che conoscere il nostro idioma non sia sufficiente per trasmettersi dei concetti, ma siamo animali complessi, così come lo sono i nostri processi di comunicazione, per questo, in periodi nei quali lo stato di emergenza, le incongruenze delle direttive e la maggiore difficoltà a svolgere le attività di tutti i giorni aumentano lo stress e le reazioni istintive, potrebbe essere d’aiuto raccogliere la riflessione che questa canzone ci suggerisce così da diventare più facilmente understood!