Donne che scrivono. Un biopic illumina Emily Brontë
L’uscita in sala dell’intenso film biografico dedicato a Emily Brontë ci permette di tornare su una delle scrittrici più importanti dell’800 e sulle difficili trasposizioni che ne sono state tratte su grande schermo. La letteratura al cinema, attraverso di lei, si è misurata con tutte le sfide della pagina scritta in rapporto all’immagine.
Il carattere di Emily
Le biografie, si sa, cominciano spesso dalla fine. Vecchia strategia narrativa. E anche stavolta, il film Emily (in uscita in Italia il 15 giugno e dedicato alla vita personale della scrittrice) parte dalla conclusione, con l’ancora giovane autrice sul letto di morte. Stroncata a soli 30 anni dalla tubercolosi, Emily era assistita dalla sorella Charlotte – con cui aveva un rapporto a dir poco tormentato e che la accusava di aver scritto un romanzo odioso e cattivo (pur essendo a sua volta scrittrice di romanzi, il più celebre dei quali è senza dubbio Jane Eyre; ma anche l’altra sorella Anne fu straordinaria autrice di Agnes Gray). Emily fece in tempo a scrivere solo Cime tempestose, uscito nel 1847 un anno prima della morte: stava lavorando sul secondo manoscritto senza poterlo finire.
La biografia cinematografica diretta da Frances O’Connor offre il ritratto di una Emily spigolosa, imprevedibile, talentuosa e proto-femminista. Con un pizzico di libertà creativa, ci regala un personaggio tridimensionale e ricco, anche grazie alla vibrante interpretazione di Emma Mackey (nota per la serie Sex Education), che sa di poter accentuare le sgradevolezze della storia senza perdere il fascino misterioso e profondo della giovane donna.
Il mistero Cime Tempestose
Il romanzo per cui Emily Brontë divenne celebre scandalizzò i critici per la sua durezza, per la lontananza dai canoni della letteratura vittoriana (di cui peraltro divenne poi uno dei punti più alti) e per la descrizione psicologica così autentica, a costo di apparire ruvida e poco romantica, visto il ruolo di vittima del personaggio di Cathy. Inevitabile che il processo di adattamento al grande schermo sia stato tutt’altro che facile, anche per la struttura “a matrioska” della trama, altro elemento innovativo e molto avanti sui tempi del libro ottocentesco. Non di meno, Hollywood ci provò fin dal 1939, con una trasposizione che fece epoca, anche perché il crudele Heathcliff, personaggio chiave del racconto, venne interpretato da Sir Laurence Olivier. Il regista William Wyler e gli sceneggiatori decisero di tagliare buona parte del romanzo, aggiunsero un finale soprannaturale posticcio e scontentarono gli appassionati di letteratura. Otto nomination agli Oscar, che però portarono a una sola (meritata) vittoria, quella del direttore della fotografia Gregg Toland che aveva costruito un sistema di luci, ombre e contrasti che forse era l’idea più fedele al testo, ben più dello script.
Anche l’Italia ci provò, grazie ai mitici sceneggiati degli anni ’50: nel 1956 ci fu un adattamento di Cime tempestose interpretato da Massimo Girotti e Anna Maria Ferrero, tutt’altro che deludente (lo rifece poi nel 2004 con nuovi divi come Alessio Boni e Anita Caprioli).
Non solo cinema
Ma se anche le versioni più recenti (pensiamo all’adattamento integrale del 1992, con Juliette Binoche e Ralph Fiennes o a quello del 2011, con attori e personaggi più giovani) confermano l’immortale fascino del volume e della sua scrittrice, è forse nell’intreccio di diversi approcci culturali che scopriamo un’influenza ancora più ricca.
E un piccolo approfondimento lo merita una canzone nei cuori di tutti gli appassionati di pop raffinato, Wurthering Heights di Kate Bush. L’immortale successo, che torna in auge ogni qualche anno e riconquista la cima delle classifiche pur essendo stato pubblicato nel lontano 1978, deve tutto al romanzo omonimo. Pare infatti che a diciotto anni la Bush abbia visto una delle innumerevoli riduzioni cinematografiche del testo, quella in particolare della BBC diretta da Robert Fuest e interpretata da Timothy Dalton (futuro 007), e che – sconvolta dalla storia – abbia solo in seguito letto il libro e costruito la famosa canzone, narrata dal punto di vista della sfortunata Cathy. Di cui vale la pena riportare, in traduzione, almeno una parte del testo, che pare utilissimo a riassumere il fascino di Emily Brontë per tante generazioni a venire: “Fuori sulle tortuose brughiere battute dal vento/Ci rotolavano buttandoci nell’erba/Tu avevi un carattere come la mia gelosia/Troppo caldo, troppo bramoso/Come hai potuto lasciarmi/Giacché avevo bisogno di averti tutto per me? Ti ho odiato e amato nello stesso tempo”.