Domenico Gnoli, il dettaglio che racconta la vita
Nato nel 1933 e morto nel 1970, in soli 37 anni, Domenico Gnoli è stato artefice di un’architettura estetica edificata sia sui pilastri storici della classicità che sui riferimenti artistici delle tendenze a lui coeve ed è stato capace di generare un linguaggio al contempo analitico e metafisico, originale e sintetico. Nato a Roma dallo storico dell’arte Umberto Gnoli e dalla ceramista Annie de Garrou, nipote del suo omonimo Domenico storico e poeta, cresciuto in un ambiente colto e raffinato, Gnoli ha posto le basi per un punto di vista che oggi definiremmo outsider, ma che proprio grazie alla sua atipicità, a distanza di oltre 50 anni dalla sua ultima mostra, è ancora intriso di spunti ed indicazioni stimolanti e rivelatorie.
Il 28 ottobre 2021 è stata inaugurata alla Fondazione Prada di Milano una mostra aperta fino al 27 febbraio 2022. Un excursus, concepito da Germano Celant (scomparso nell’aprile del 2020) di 100 opere ed altrettanti disegni, che ricostruisce l’impianto analitico della ricerca artistica di Gnoli, l’eterogeneità della sua carriera divisa tra arte, illustrazione e scenografia, gli sviluppi estetici a cui è approdato, nonché l’eredità intellettuale che ci ha lasciato.
Gnoli ed il suo tempo:
Dopo un paio di anni trascorsi a Parigi, Gnoli ottiene la sua prima ribalta internazionale con le scene ed i costumi realizzati per la commedia di Shakespeare “As You Like It”, andata in scena nel 1955 all’Old Vic di Londra, decide però di trasferirsi a New York, insoddisfatto del mondo teatrale, per dedicarsi con maggiore esclusività alla pittura. Le sue prime sperimentazioni con tempera e sabbia (tecnica che rimarrà caratteristica di tutta la sua opera) lo avvicinano alla pittura metafisica di Morandi e di Carrà. Ma una componente fondamentale nella sua ricerca estetica non può non essere attribuita al Rinascimento. Lui stesso dichiara: «Sono nato sapendo che sarei stato pittore, perché mio padre, critico d’arte, mi ha sempre presentato la pittura come l’unica cosa accettabile. Mi dirigeva verso la pittura italiana classica, contro cui reagii ben presto, ma non ho potuto dimenticare il sapore e la pratica del Rinascimento» (Lettere e scritti, p. 89).
La sua prima mostra inaugura a Londra nel 1957 alla galleria Arthur Jeffress, mentre dell’anno dopo è la prima personale in Italia, alla galleria dell’Obelisco di Roma. Dopo la separazione dalla prima moglie (Luisa Gilardenghi), si trasferisca a Maiorca (1963) dove conoscerà Yannick Vu che sposerà nel 1965.
Il successo internazionale sopraggiunge nel 1964, con la mostra personale alla galleria André Schoeller di Parigi, anno in cui è assegnato a Robert Rauschenberg il Leone d’Oro della Biennale di Venezia. Gnoli stesso, in una lettera del ’65, dichiara: “Ho sempre lavorato come adesso, ma non lo si vedeva, perché era il momento dell’astrazione. Solo ora, grazie alla Pop Art, la mia pittura è diventata comprensibile. Mi servo sempre di elementi dati e semplici, non voglio aggiungere o sottrarre nulla. Non ho neppure avuto mai voglia di deformare: io isolo e rappresento. I miei temi derivano dall’attualità, dalle situazioni familiari della vita quotidiana; dal momento che non intervengo mai attivamente contro l’oggetto, posso avvertire la magia della sua presenza”.
Gnoli e le sue opere:
Camicie, bottoni, tacchi a spillo, letti e tovaglie, divani, capelli… I soggetti della ricerca di Domenico Gnoli sono dettagli domestici, della vita quotidiana. Lo scrittore francese André Pieyre de Mandiargues raccontava così l’opera dell’artista: “lo stile pittorico di Gnoli nel momento stesso in cui descrive le cose banali che compongono l’ambiente dell’uomo, le illumina. Illustrandole le nobilita; mentre gli artisti pop le volgarizzano.”
Questi dettagli sono piuttosto funzionali a creare nello spettatore uno straniamento metafisico, non fatto però di architetture, ma di particolari decorativi che divengono pattern. Nella ricerca di Gnoli c’è lo studio della prospettiva rinascimentale, la pittura metafisica, l’astrattismo, la pop art, una tecnica pittorica materica e, al contempo, il loro superamento.
Da un punto di vista formale Gnoli si serve degli strumenti della storia dell’arte e delle tendenze a lui contemporanee per analizzare il suo medium, la pittura appunto. La sua tecnica vede sempre l’utilizzo di acrilico e sabbia, la texture dei suoi quadri rimane concreta e tangibile, ma è come se, osservando la realtà con una lente d’ingrandimento, Gnoli spostasse l’osservazione al di fuori del quadro. Non tanto e non solo a causa dei tagli fotografici delle sue tele, che collocano il fuoco dell’immagine su particolari marginali, e nemmeno perché Gnoli esclude dal campo dell’immagine ciò che comunemente è inteso come soggetto (non ci sono quasi mai volti, ad esempio). Ma soprattutto perché nelle sue raffigurazioni l’osservazione formale sfocia in punti di domanda che ci trascinano lontano dalla raffigurazione, oltre l’istantanea del soggetto, oltre l’analisi concreta della realtà.
Gnoli e l’eredità che ci ha lasciato:
Le sue cravatte, i suoi colletti, le scarpe da uomo, le sedie, i cassetti, le vasche da bagno possono essere quelli di ognuno di noi, non raccontano una storia, ma rappresentano il minimo comun denominatore di quella di tutti. Non sono metafore simboliche, ma sineddochi di un particolare che racconta un universale liberato però da valori morali o narrativi. Nei suoi quadri il particolare non rappresenta l’universale, ma semplicemente lo è.
Quei soggetti del quotidiano, con la loro riconoscibilità ci coinvolgono subito da lontano, poi, avvicinandoci, ci smarriscono nella ripetizione decorativa di un pattern e a quel punto creano una sospensione in cui ci domandiamo che cosa ha riempito la giornata di quel dettaglio quotidiano? In essi c’è tutta la realtà, o meglio, i simulacri di essa, ci sono le nostre vite, scevre però di ogni narrazione e di ogni soggettività. Sono un foglio bianco in cui non c’è racconto, ma dove ognuno di noi può leggere il proprio.