Dietro le quinte del Corpo di ballo
Presto si tornerà a ballare dal vivo di fronte al pubblico, ma per ora la Giornata mondiale della Danza resta lontana dai teatri. Per il secondo anno, il 29 aprile lo si celebra solo sul web: la rapidità con cui il nuovo dpcm ha deciso le riaperture (parziali) non ha consentito alle compagnie e ai teatri di organizzarsi. Ma al di là delle varie iniziative in streaming – poche e sporadiche, in verità, tra tutte segnaliamo la lezione del primo ballerino della Scala Antonino Sutera ai danzatori della compagnia, alle 19 sui social del teatro – forse l’omaggio più bello e significativo a quest’arte rigorosa e fugace, che si consuma nell’istante in cui il corpo del ballerino si muove sulle assi del palcoscenico, è quello che arriva in esclusiva su RaiPlay dal giorno successivo, venerdì 30. Si intitola Corpo di ballo-L’avventura di Giselle alla Scala ed è un lungo documentario (prodotto da RaiPlay con Panamafilm) suddiviso in dodici puntate che porta lo spettatore dietro le quinte, a seguire il lavoro e conoscere i ballerini della compagnia di danza classica più importante d’Italia, quella della Scala di Milano, appunto. E lo fa lungo sei mesi di un anno per molti versi horribilis, nell’altalena di speranze, disillusioni, gioie e dolori che hanno costellato la vita quotidiana dei danzatori ai tempi del Covid: dalla felicità del ritorno in teatro dopo i sette mesi di fermo per il primo lockdown, alla breve soddisfazione di poter tornare a esibirsi dal vivo, anche se di fronte a una platea piena solo a metà a causa dei protocolli sanitari, per il Gala di Balletto di fine settembre, fino alla nuova delusione di non poter danzare davanti al pubblico il balletto che doveva simboleggiare la rinascita, Giselle, per il rinnovato inasprirsi della pandemia.
La telecamera riprende una ballerina a casa mentre si pettina e si prepara a uscire. Dallo schermo del computer, i genitori in videochiamata le sorridono, la madre ha in mano una tazza di mate e le dice: “Mi manchi tanto, un beso chiquita”. Poi eccola uscire, la mascherina, il metrò: “Duomo, fermata Duomo”. Inizia così la dicuserie, con un primo piano sulla vita di Maria Celeste Losa, ballerina solista che, in una compagnia dove quasi tutti hanno dovuto lasciare giovanissimi il nido e trasferirsi nella metropoli, è quella che vive più lontana dai suoi: è Argentina, di La Plata. Nel film, l’affondo nelle vite di questi ragazzi procede parallelo alle riprese del loro duro lavoro in sala prove, guidati dai maître Massimo Murru e Laura Contardi. Perché quello della danza è un impegno totalizzante. Succede, così, che prova dopo prova ci si possa perfino innamorare. È capitato a Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, primi ballerini in inarrestabile ascesa. E anche a Martina Arduino e Marco Agostino. All’inizio della seconda puntata li troviamo nel salotto di casa, li seguiamo mentre escono e prendono il tram: «Il nostro è un amore nato in teatro, è iniziato tutto con il Corsaro», dice lui. Martina è raggiante: è stata scelta tra le tre ballerine che interpeteranno Giselle, il ruolo romantico per eccellenza, il sogno di ogni danzatrice classica, e per lei è la prima volta.
Le prove sono precisione, sudore, perseveranza. La parola che ritorna più spesso è: perfezione. La pronuncia seduto a terra con il volto tra le mani dopo aver danzato il lunghissimo assolo della Bella addormentata nel bosco l’astro nascente Claudio Coviello, per molti il nuovo Roberto Bolle: «Non si raggiunge mai, ma andare alla ricerca della perfezione è una cosa molto importante». Lo sa Mattia Semperboni, che racconta «la fatica e i momenti di down, che il ballerino non accetta perché siamo abituati fin da piccoli a inseguire una perfezione che non esiste». Lo sanno anche Nicoletta e Timofej, che questa fatica la affrontano insieme: «Abbiamo bisogno di fare il processo di prova, riprova e riaggiusta – dice lei – di provare fino all’esaurimento. È quello che ci dà sicurezza in scena». Perché, conclude lui, «diventare primi ballerini è la realizzazione di un sogno, ma non ti puoi fermare. È un punto di partenza».