Biennale Teatro: ecco cosa vedere dal 15 giugno al 1° luglio a Venezia
Al terzo anno di direzione, Ricci e Forte lanciano un programma “verde” che invoca la rigenerazione e la trasformazione della scena e della società.
Una storia intrecciata con la Storia
Nei suoi quasi 130 anni di vita la Biennale di Venezia ha intercettato le pulsioni della storia e si è incrociata con la cronaca e la politica parecchie volte, rappresentando spesso momenti di frizione o di rottura con il potere. Lo ha fatto anche la sezione teatro che, nata nel 1934 in pieno fascismo, subito ha portato una ventata di novità internazionale con la rappresentazione en plein air in Campo San Trovaso, fuori da un teatro tradizionale, de Il Mercante di Venezia con la regia di Max Reinhardt che, ebreo, presto avrebbe lasciato l’Austria dove montava l’antisemitismo per scegliere l’esilio negli Stati Uniti. Ma la Biennale Teatro sarebbe stata segnata da altri cortocircuiti importanti con la politica e la Storia. Nel 1951, in piena guerra fredda, il governo italiano nega il visto a Bertolt Brecht e alla sua compagnia Berliner Ensemble perché residenti in Germania Est. Avrebbero dovuto mettere in scena Madre Coraggio e i suoi figli, rappresentazione che saltò anche dieci anni dopo, nel 1961. Nel 1968 per la contestazione il festival viene azzerato, e poi totalmente ripensato negli anni 1974-76 quando a dirigerlo viene chiamato Luca Ronconi che annulla ogni separazione tra palcoscenico e sala, tra pubblico e attori portando spettacoli e laboratori dei maestri della nuova scena internazionale, da Peter Brook a Bob Wilson e Jerzy Grotowski, in ogni spazio della città.
Una Biennale “verde” utopia per cambiare il presente
La lunga premessa vuole servire da introduzione alla nuova edizione di Biennale Teatro, in programma dal 15 giugno al 1° luglio nella città lagunare. O meglio, vuole dare un contesto storico alle intenzioni dei direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte, in arte ricci/forte, che pur piantate saldamente nell’oggi vogliono riportare l’arte alla centralità anche civile che aveva in passato e che ha perduto. Nel loro terzo anno di direzione, ognuno declinato su un colore, al 2023 affidano il verde, o meglio “emerald” come la città dei prodigi del paese di Oz, Emerald City: “Piattaforma di una resistenza politica e poetica – scrivono – il festival sarà (…) avamposto di utopie eroiche e meraviglie rivoluzionarie, e si drappeggerà in verde emerald, il cui orizzonte simbolico starà a indicare il momento di un cambiamento profondo, di una trasformazione, di un passaggio a una nuova fase della vita: la rigenerazione dopo l’inverno, la rivitalizzazione, la resurrezione, la rinascita e la libertà dell’essere umano. Celebreremo così un risveglio di primavera anche per il Teatro, investito ora più che mai a stimolare la fantasia, l’immaginario dello spettatore”.
I Leoni dell’impegno che sa rischiare
La missione di servizio pubblico del teatro, in quest’epoca di controllo esasperato e politically correct estremo, diventa quella di stimolo ad andare controcorrente, a infrangere regole assurde e riscoprire “il clandestino come fonte di rigenerazione”. Tradotto, significa invitare registi e spettacoli fuori misura, campioni di un teatro che sa rischiare, e invita all’impegno. Tutt’altro che paludati, anzi capaci di provocazioni forti quanto stimolanti, sono le due realtà premiate con i Leoni. Leone d’oro è Armando Punzo, una vita nel carcere di Volterra a fare con i detenuti un teatro ad altissima densità emotiva e di pensiero, che usa testi di autori alti per farne miracolosamente specchio di identità ai margini: sarà la sua Compagnia della Fortezza, difficile da vedere fuori dalla prigione, a inaugurare il festival con il nuovo spettacolo, Naturae, incontro tra Shakespeare e Borges in scena alle Tese dell’Arsenale. Leone d’argento sono i fiamminghi FC Bergman, collettivo visionario che ha portato il pubblico tra quinte di navi nel porto di Anversa o in ascensore su una torre di quattro piani edificata appositamente. Un’architettura immaginifica è anche la scena del nuovo spettacolo, La terra di Nod, dove riproducono la copia in scala reale della Sala Rubens del Museo di Belle Arti di Anversa, alta dieci metri e lunga 28, ricostruita per la Biennale in un capannone della zona industriale di Marghera.
Provocazioni e riflessioni dalla scena internazionale
Ma la provocazione più diretta, che forse susciterà le proteste delle istituzioni anche al solo leggerne il titolo, è quella del portoghese Tiago Rodrigues. Per il neoeletto direttore del festival di Avignone e tra i registi più richiesti della scena d’autore contemporanea, il teatro è un’assemblea, un luogo dove mettere a confronto in modo poetico idee e problemi etici che hanno una stretta correlazione con la realtà di oggi. Succede anche in Catarina, e a beleza de matar fascistas, storia di una famiglia dove tutte le donne si chiamano Catarina e dai tempi del dittatore Salazar ogni anno come rito obbligato uccidono un fascista: un modo paradossale per condannare un certo revisionismo storico.
Tra i maestri contemporanei italiani, Romeo Castellucci porta domani, performance minimalista e concettuale su natura ed ecologia, mentre dalla scena internazionale riflette su dolore e politica il palestinese Bashar Murkus con la Kashabi Ensemble di Haifa nella performance Milk, sul lutto delle madri che perdono i figli nelle tragedie della storia.
Ma in cartellone sfilano anche i nuovi linguaggi e i nuovi protagonisti della scena europea, dallo svedese Mattias Andersson che in We Who Lived Our Lives Over parte da studi sociologici per costruire uno “sliding doors” teatrale sul potenziale di una seconda possibilità, ai catalani El Conde de Torrefiel che in La Plaza fanno lo spaccato di una folla senza volto, fino alle francesi Noémie Goudal e Maëlle Poésy che nella performance Anima si rifanno alla paleoclimatologia per un grido contro la crisi climatica che è anche una riflessione sul tempo che passa.
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