Biennale di Venezia 2019: l’arte deve parlare alle coscienze
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“Che tu possa vivere in tempi interessanti”, recita l’antico modo di dire cinese che viene spesso citato dai politici nei loro discorsi da oltre un secolo. Questa sorta di maledizione cinese in realtà, probabilmente, non è mai esistita e per molto tempo è stata attribuita erroneamente alla tradizione orientale. È certo però che quando, negli Anni ’30, il parlamentare Sir Austen Chamberlain lo sentì per la prima volta da un diplomatico britannico di stanza in Asia, deve esserne rimasto molto colpito per riportarlo in uno dei suoi discorsi, dato che quello era davvero un periodo critico.
Il tema scelto per la 58esima Esposizione internazionale d’Arte riguarda proprio questo e si intitola infatti “May You Live In Interesting Times” a ripresa della presunta maledizione cinese che evoca l’idea di tempi sfidanti e perfino minacciosi. In scena dall’11 maggio al 24 novembre 2019 ai Giardini e all’Arsenale di Venezia, la mostra quest’anno è curata da Ralph Rugoff, attuale direttore della Hayward Gallery di Londra, organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta. 79 sono gli artisti invitati a partecipare a questa edizione, provenienti da 90 Paesi diversi e quattro quelli presenti per la prima volta: Ghana, Madagascar, Malesia e Pakistan, e la Repubblica Dominicana partecipa con un proprio padiglione. A curare il Padiglione Italia, alle Tese delle Vergini in Arsenale, è Milovan Farronato, curatore di profilo internazionale e direttore di Fiorucci Art Trust, centro di ricerca e produzione artistica contemporanea con sede a Londra, che ha scelto i tre artisti Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro per rappresentare l’arte italiana e interpretare il tema del labirinto.
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Il tema del Padiglione Italia, intitolato “Neither Nor: The challenge to the Labyrinth“, è stato scelto ispirandosi al noto saggio di Italo Calvino e richiama la natura labirintica di Venezia descritta dallo scrittore secondo cui i confini della città, sia di acqua che di terra, continuano a confondersi facendo cambiare le cartine geografiche, ma si riferisce anche alla natura dell’animo umano, smarrita e folle. Nel Padiglione lo spettatore si perde in continuazione, confuso dalla presenza di finti tendaggi, specchi e muri che si rivelano porte, stanze che vengono ripercorse senza accorgersene. All’interno di questa struttura illusoria e geniale sono state disposte le opere dei tre artisti, insieme, quasi a formare un’opera collettiva. A evocare lo smarrimento è anche l’opera dell’artista Lara Favaretto: una nebbia densa avvolge il Padiglione Centrale, a volte facendolo scomparire completamente quasi a significare una realtà che può venire occultata.
Tappa obbligatoria di quest’anno è anche il Padiglione Lituania dove le artiste Rugile Barzdžiukaite, Vaiva Grainyte e Lina Lapelyte hanno trasformato gli interni della Marina Militare, per la prima volta usati come area espositiva, in una spiaggia illuminata artificialmente, piena di persone “normali” in costume. Lo spettatore è chiamato a monitorare, ma anche ad ascoltare, visto che si tratta di un’opera-performance: ogni personaggio della scena, cantando, rivela inquietudini e preoccupazioni che hanno a che fare con il surriscaldamento climatico come con le piccole fragilità quotidiane. Di notevole impatto è poi il robot progettato dagli artisti cinesi Sun Yuan e Peng Yu che, come un animale in gabbia allo zoo, meccanicamente cerca di contenere un liquido rosso, simil sangue, entro i confini di una determinata area. Sotto gli occhi dei suoi spettatori, il robot compie movimenti che sorprendono gli adulti e fanno sorridere i bambini.
In mezzo all’acqua del canale è stata poi collocata una tra le opere più provocatorie e d’impatto di questa edizione, fin da subito sotto agli occhi di tutti i visitatori: davanti all’Arsenale è visibile il relitto del peschereccio libico simbolo della strage di migranti avvenuta nel 2015 nel Canale di Sicilia. Scelta voluta proprio da Rugoff per smuovere le coscienze, “Barca Nostra” – così ribattezzata dall’artista svizzero Christoph Buechel ideatore del progetto – è l’emblema di quello che secondo il curatore l’arte dovrebbe fare. Se non può intromettersi esercitando le sue forze direttamente nell’ambito della politica, l’arte senza dubbio, attraverso le opere, può e ha il compito di farci riflettere sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale. Un opera d’arte dovrebbe essere valida per sempre, parlare del tempo in cui è nata, ma anche dei tempi presenti e futuri: ogni volta se ne usufruisce in modo diverso. L’arte deve saperci dire qualcosa di quello che siamo e di quello che siamo stati e dove il pensiero dell’individuo si ferma nel ragionamento, è proprio lei che ha il compito di superarlo, dando dei significati alternativi a ciò che prendiamo come dei dati di fatto, proponendo modi diversi di interpretare la realtà che ci circonda. In qualche modo l’arte ci fa diventare più consapevoli del mondo in cui viviamo e riflettere sperimentando nuovi linguaggi: questa edizione della Biennale Arte lo ha messo in pratica, dichiarandolo espressamente, con l’intento di farci prendere coscienza, attraverso l’arte, dei tempi ‘interessanti’ che stiamo vivendo. Penetrando a fondo negli incubi e nelle perversioni del presente l’arte regala sollievo e comprensione.
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