Arte, percezione e cambiamenti climatici: il percorso di Olafur Eliasson
Qualcuno lo ha definito artivist, artista attivista, e in effetti sono ormai vent’anni che Olafur Eliasson si occupa di cambiamento climatico utilizzando il linguaggio dell’arte contemporanea. In corso due mostre per celebrarlo: la prima a Palazzo Strozzi, a Firenze, e la seconda, appena inaugurata, al Castello di Rivoli – Museo d’arte contemporanea.
Chi è Olafur Eliasson
Nasce nel 1967 a Copenaghen ma cresce tra Islanda e Danimarca. Studia alla Royal Danish Academy of Fine Arts per poi trasferirsi, a metà degli anni Novanta, a Berlino, dove fonda lo Studio Olafur Eliasson, che oggi comprende un team di oltre settanta creativi.
Fulcro della sua ricerca, la soggettività dello spettatore, che affronta esaltando il valore della molteplicità e della differenza, e l’incontro con la natura, che si articola in dispositivi in grado di restituire la potenza degli elementi naturali e la cui irripetibilità è data proprio dall’incontro con i visitatori.
Sole e ghiaccio
Fortemente ispirato dai temi legati alla sostenibilità e intenzionato a spostare l’attenzione di tutti sulla consapevolezza ecologica, l’interesse di Eliasson per l’ambiente si traduce in progetti emblematici come Little Sun (2012) e Ice Watch (2014), solo per citarne alcuni.
Litte Sun è una piccola lampada solare portatile la cui luce diventa veicolo di cambiamento nella vita quotidiana delle persone in tutto il mondo, fornendo una fonte di illuminazione indipendente dalla rete elettrica. La forma è quella del fiore di meskel, simbolo etiope di positività e bellezza. Il progetto ha inoltre una ricaduta significativa sulle piccole comunità locali che possono sviluppare reti micro-imprenditoriali di vendita e distribuzione delle lampade, piccoli soli che educano gli utenti all’accesso all’energia, all’utilizzo delle risorse naturali e su come l’azione individuale possa avere un impatto a livello globale.
Ice Watch è invece un’opera monumentale, costituita da dodici grandi blocchi di ghiaccio staccatisi dalla calotta glaciale della Groenlandia, raccolti in un fiordo e presentati in una formazione a orologio in diversi luoghi pubblici. Scopo di Eliasson quello di favorire la consapevolezza del cambiamento climatico fornendo esperienza diretta e tangibile della realtà dello scioglimento dei ghiacci artici. Ice Watch è stata installata in tre luoghi di rilievo: la prima installazione nella piazza del municipio a Copenaghen, nell’ottobre 2014, in occasione della pubblicazione del Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; la seconda a Parigi, in Place du Panthéon, a dicembre 2015, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima COP21, e la terza tra il dicembre 2018 e il gennaio 2019 a Londra, fuori dalla sede europea di Bloomberg e di fronte alla Tate Modern.
Olafur Eliasson in Italia
Le opere di Eliasson sono parte integrante di diverse collezioni pubbliche e private italiane. Una sua opera d’arte pubblica permanente la si può ammirare – o meglio, si può farne esperienza – in Trentino-Alto Adige, sulla cresta del monte Grawand, dove nel 2020 Eliasson ha installato Our glacial perspectives, un percorso da 410 metri ritmato da archi metallici che conducono a un padiglione di acciaio e vetro che lo spettatore può utilizzare come strumento astronomico. Segnando l’orizzonte, le direzioni cardinali e il movimento del sole, l’opera d’arte dirige l’attenzione del visitatore in una prospettiva più ampia sui cambiamenti climatici che stanno interessando direttamente il ghiacciaio dell’Hochjochferner.
Attualmente e fino al 22 gennaio 2023, Eliasson è protagonista di una grande mostra che gli dedica Palazzo Strozzi, a Firenze, dove opere storiche e nuove installazioni che utilizzano elementi come il colore, l’acqua e la luce creano uno speciale percorso di interazione con i sensi dello spettatore e con lo spazio. A novembre (fino a marzo 2023) sarà inoltre presente al Castello di Rivoli – Museo d’arte contemporanea con un nuovo lavoro su larga scala, immersivo e site-specific che abbraccia l’intero spazio della Manica Lunga del Museo, ispirato dall’indagine dell’artista sulle condizioni cognitive e culturali della percezione: Eliasson trasformerà il corridoio (147 metri di lunghezza per 6 di larghezza) in un luogo di esperienza sensoriale attraverso una serie di interventi spaziali che sottolineano l’importanza dell’incarnazione e della presenza fisica nell’era digitale.
Le due mostre rappresentano l’ennesimo tassello del ricco percorso di Olafur Eliasson volto a conferire all’esperienza percettiva un significato e una realizzazione differenti, laddove l’opera d’arte viene a configurarsi nell’incontro tra l’oggetto e l’unicità degli individui che lo percepiscono.