A lezione da Riccardo Muti
«La bellezza e l’armonia sono le uniche cose che possono salvare il mondo. Girandolo di continuo, mi sono convinto che solo la cultura lo può migliorare». È un fiume in piena Ruccardo Muti quando, alla Fondazione Prada di Milano, presenta la settima edizione della sua Italian Opera Academy, “scuola” itinerante che, dopo Ravenna e Tokyo, per la prima volta si tiene nel centro culturale di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli. Per una decina di giorni, dal 4 al 15 dicembre, il grande direttore d’orchestra salirà in cattedra per trasmettere l’arte della direzione d’orchestra a una manciata di giovani fortunati, quattro o cinque talenti tra i 18 e i 35 anni selezionati tra centinaia di candidature provenienti da ogni angolo del pianeta, preparando con loro il Nabucco di Verdi passo dopo passo, con una serie di prove e concerti. Tutti aperti al pubblico, che potrà seguire l’intero percorso (i biglietti per le singole giornate e i carnet d’abbonamento si posso acquistare sul sito di Fondazione Prada): il 4 dicembre Muti presenterà l’opera, dal 5 all’11 si svolgeranno le prove, per poi arrivare a due concerti finali con il melodramma eseguito, appunto, in forma di concerto dall’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta il 14 dicembre dallo stesso Muti e il 15 dai giovani direttori selezionati.
Date calde per l’opera a Milano: a nessuno è sfuggito che il periodo coincide con la “prima” della Scala del 7 dicembre, con un altro Riccardo, ossia Chailly, a dirigere un altro Verdi, il Macbeth. Ma a chi insinua sia una mossa per infastidire il più grande teatro d’opera italiano dopo le recenti scintille con Chailly alla riapertura post lockdown di maggio, il Maestro risponde piccato: «Sono appena tornato da Chicago dove dirigo la Symphony Orchestra, dopo sarò in tournée in Oriente con i Wiener, e a gennaio tornerò a Chicago. Era l’unico momento libero. Che la Scala faccia la sua attività non mi disturba, e che Muti faccia una cosa con dei giovani non disturberà certo la grande Scala. C’è qualcuno che davvero pensa che io a ottant’anni avrei scocciato la Fondazione Prada per dare fastidio alla Scala? Sono preoccupazioni parrocchiali».
Nessuna interferenza, dunque, ma tanta passione per la musica, quello sì. Perché a ottant’anni compiuti il maestro napoletano si sente erede di una tradizione italiana che sta scomparendo, e che lui vuole trasmettere alle giovani generazioni: «L’insegnamento è una responsabilità artistica, ma anche una responsabilità etica. Ho studiato con Antonino Votto, che aveva lavorato alla Scala con Toscanini, il quale gli citava Verdi che aveva conosciuto di persona. E nella mia carriera ho lavorato con un mondo leggendario: pianisti come Serkin, Arrau, Richter, violinisti come Menuhin. Perché queste informazioni dovrebbero scomparire con me?». Non solo tecnica, quindi, ma un sapere fatto di ascolto, musicalità, cultura profonda. E anche, perché no?, di aneddoti divertenti, che Muti si lascia andare a raccontare già durante la presentazione dell’Academy, che velocemente si trasforma in una lezione a tutto tondo.
L’accento va sul rigore: «Le braccia, diceva Toscanini, sono l’estensione del nostro pensiero musicale. Oggi sono diventate il punto d’attrazione, siamo una società visiva. Ma il direttore d’orchestra non è un clown, e battere il tempo lo fanno anche gli asini. Vorrei che l’accademia fosse l’occasione di far capire alle nuove generazioni che dirigere non vuol dire sbracciarsi e agitarsi. Karajan non si muoveva quasi, Strauss diceva che è inutile scalmanarsi. Vorrei insegnare che dirigere è un lavoro di preparazione seria e di studio». Una serietà che Muti vuole restituire appieno soprattutto all’opera italiana, per il cui studio e approfondimento ha fondato l’Academy: «Girando il mondo mi sono reso conto che l’opera italiana è bistrattata in modo ignobile, soprattutto negli Stati Uniti e in Estremo Oriente viene considerata intrattenimento, la si esegue con esagerazioni dell’italianità, che negli occhi dello straniero corrisponde a volgarità, all’essere estremi nell’espressione. Ma io vengo dalla scuola italiana, che è una scuola severa. Sono contro l’effetto, voglio difendere la nobiltà del nostro repertorio. Questo insegno ai ragazzi».