Il nostro bagaglio ci dice tutto di come siamo
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È cambiato tutto con gli aerei. E non ora, già 90 anni fa. Nel 1938, Civil Aeronautics Board stabilì per la prima volta che i bagagli per ciascuna persona fossero di dimensioni e quantità limitate.
Da quel momento e con le modifiche continue che hanno portato fino ai giorni nostri, fare i bagagli è diventata una attività complessa: prendi, gira, piega, sistema, togli, rimetti, piega ancora. La valigia come un mosaico e dentro ciò che ti serve certamente, ciò che ti serve forse e ciò che non ti servirà. Perché alla fine questo è il punto, ma ci arriveremo. Perché prima bisogna partire da un libro che vale la pena leggere, almeno se si è viaggiatori. Non necessariamente assidui, anzi forse meglio se si è viaggiatori estemporanei, quelli che non pensano di sapere tutto come i frequent flyer ritratti nel film Up to the Sky. Chi viaggia poco, ma viaggia, dovrebbe prendere tra le mani Fare i bagagli – Un viaggio pratico e filosofico di Susan Harlan (Il Saggiatore) . Che non è una guida pratica a come fare una valigia, ma è un’analisi di come siamo.
Perché l’approccio che abbiamo con quel contenitore da riempire ci definisce a volte molto meglio di quello che pensiamo.
Già nella parola «bagaglio», in inglese baggage o luggage, si nascondono storie ben diverse: il baggage è il francese bagage, e rimanda ai pacchi allacciati alle carrozze; il luggage, invece, deriva dallo svedese lugga e significa, in origine, tirare i capelli a qualcuno e quindi, per estensione, tormentare, così come venivano provocati e torturati i poveri orsi che piacevano moltissimo al pubblico londinese. Ma come ha scritto Eleonora Barbieri: «Il fatto è che le parole stesse sono valigie: come i vocaboli portmanteau, amati da Joyce e Lewis Carroll, “supercontenitori linguistici” che rimandano a certi vecchi bauli, divisi in due scomparti uguali. Alcune valigie contengono davvero parole, e libri: come quella persa da T.E. Lawrence nel 1919 alla stazione di Reading, che racchiudeva il manoscritto originale dei Sette pilastri della saggezza; o la piccola borsa che Hadley Richardson, prima moglie di Hemingway, dimenticò per qualche secondo alla Gare du Lyon di Parigi, e fu rubata, insieme ai Juvenilia dello scrittore (che continuò a lamentarsene per anni)”.
I bagagli fanno parte di noi, siamo noi. E quando li perdiamo (una vera e propria paura collettiva) ci possono rendere infelici per molto tempo. Ma poi fanno di più. Perché pur essendo una cosa estremamente personale e soggettiva, possono generalizzare e arrivare al punto più importante: definire la differenza tra il necessario e il superfluo. Perché questo in fondo è fare una valigia, per tutti: scegliere. Quello che ti servirà e quello che non ti servirà. E questo ha a che fare con gli oggetti neanche un po’.
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