Giornata della memoria: ecco a cosa serve ricordare
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La Giornata della Memoria si chiama così proprio perché è pensata per ricordare, per coltivare e facilitare il ricordo. Ma a cosa serve ricordare? La memoria non è una cosa scontata, va allenata e tenuta costantemente in considerazione nella nostra vita quotidiana, pena perderla e ricadere così negli stessi errori del passato. Sia i nostri, personali, che quelli dei nostri antenati. Il 27 gennaio la memoria di tutti noi va alle vittime dell’Olocausto, del nazismo e del fascismo.
Ma perché per ricordare uno dei crimini più ripugnanti commessi dal genere umano si è scelto proprio il 27 gennaio? Il motivo è che nello stesso giorno del 1945, ormai 75 anni fa, fu liberata la città di Auschwitz, in Polonia, e così fu anche scoperto il campo di sterminio destinato a diventare il simbolo del genocidio nazifascista.
Quel 27 gennaio, verso mezzogiorno, le truppe sovietiche varcarono i cancelli del campo di Auschwitz e trovarono migliaia di prigionieri in condizioni disumane: alla fame, molti di loro usati per esperimenti medici e sistematicamente torturati. Si stima che i sopravvissuti allo sterminio e salvati dai sovietici quel giorno furono circa settemila: pochissimi, purtroppo, rispetto al numero di quelli che invece lì, in quello stesso luogo, trovarono la morte, un milione e centomila persone. Sono numeri difficili da immaginare, forse persino impossibili da capire.
Quel 27 gennaio tra le persone liberate dalle truppe sovietiche c’erano moltissimi bambini. È anche attraverso la loro memoria che il ricordo dello sterminio nazifascista è potuto arrivare fino a noi nonostante revisionismi, complottismi e l’ascesa dei nuovi fascismi. Quei bambini, crescendo, hanno testimoniato, raccontato, spiegato e aiutato altri a capire un dramma storico tra i più atroci della storia recente. I loro ricordi, i loro racconti della diaspora dei loro cari, hanno funzionato da diario vivente di una tragedia, di un genocidio. E soltanto grazie al loro lavoro, a quello dei tribunali internazionali e degli storici il ricordo dell’Olocausto si è mantenuto vivo.
Ogni 27 gennaio, per questo, è una conquista. Una giornata internazionale della memoria che dobbiamo all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che nel 2005 la riconobbe come tale dandole valore politico e istituzionale su uno dei tavoli più importanti della diplomazia mondiale.
Quello stesso 27 gennaio, tra quei bambini sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz (ufficialmente il più grande omicidio di massa mai avvenuto in un unico luogo nella storia dell’umanità), c’era Liliana Segre. Era il 30 gennaio del 1944 quando, da Milano Centrale, Segre fu deportata insieme a suo padre Alberto verso Auschwitz. Aveva solo tredici anni, e una volta varcata la soglia del campo, suo padre non lo rivide mai più. E fu in quello stesso campo di sterminio che morirono anche i suoi nonni: tre generazioni vittime dello stesso crimine, quello della cancellazione del popolo ebraico e delle altre minoranze, dei dissidenti. La storia di Segre la racconta nei dettagli Liliana Picciotto, in un libro che si chiama, non a caso, Il libro della memoria.
La memoria serve a sentire le cose vicine, presenti, possibili. A questo serve. Ricordare eventi come l’Olocausto è utile ad essere consapevoli di un fatto agghiacciante ma reale: quell’orrore potrebbe succedere di nuovo. E l’unico antidoto al ritorno della malattia autoritaria e nazifascista è il ricordo.
Se oggi, ogni anno, partecipano alle commemorazioni all’interno del campo di Auschwitz delegazioni di rappresentanti delle istituzioni provenienti da tutto il mondo, è perché davanti al pericolo che una tragedia simile succeda di nuovo è necessario unirsi nel ricordo. Unirsi a prescindere da differenze di fede, di credenze politiche o di etnia. Il dramma di Auschwitz, infatti, non è una questione europea, non è nemmeno esclusivamente il simbolo dello sterminio degli ebrei, o esclusivamente degli omosessuali, o dei rom, dei disabili, dei dissidenti politici, dei comunisti. È un ricordo collettivo che trascende ogni appartenenza a minoranze, a stati o a comunità. Quella del 27 gennaio è la memoria utile a essere coscienti di quale orrore porta l’odio, di quali danni fa la segregazione, di quali atrocità implica la colpevolizzazione della divisività, l’estremismo ideologico, la guerra. I campi di concentramento dell’Europa Centrale sono il simbolo di questa volontà collettiva di ricordare, di non abbandonarsi all’oblio, alla visione del presente come qualcosa di slegato dal passato.
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