Cambiare il mondo è facile se sai comunicarlo
Si parla ormai di diseguaglianza e divario tra la ricchezza in mano a sempre meno persone e la possibile sua ridistribuzione per riequilibrare le sorti del nostro pianeta. Per cominciare dovremmo provare a capire come si è arrivati a questo punto?
Naturalmente mi sto buttando su un terreno molto insidioso, non essendo un economista o un esperto del lavoro, ma in ogni caso la mia intenzione non è quella di proporre una soluzione certa quanto una vera e propria riflessione.
Molti economisti hanno avanzato l’ipotesi che si tratti di un problema principalmente dei paesi avanzati e che la causa principale delle diseguaglianza sia il progresso tecnologico che ha spinto la domanda di un lavoro altamente qualificato rispetto a quello non qualificato. Ma a guardare bene le cose negli ultimi vent’anni, diciamo con l’inizio del terzo millennio, il problema dei salari ha coinvolto sia lavoratori qualificati che meno.
In effetti, altri affermano che sia la globalizzazione ad avere indebolito il potere dei lavoratori mentre le aziende possono muoversi e spostarsi all’estero e usufruire di mano d’opera a prezzo più competitivo lo fanno indebolendo cosi il sistema locale, non ridistribuendo sulla filiera dei distretti industriali e produttivi.
A mio avviso il grande problema sta nel passaggio da un’economia manifatturiera come quella italiana a una basata sui servizi. Questa migrazione non ci ha trovato pronti, anzi non è stata preparata specialmente in quella fascia di piccole e medie imprese che all’apertura dei mercati avvenuti con l’avvento dell’euro hanno subito il contraccolpo di aziende straniere e cinesi in particolare e non sono state capaci di spostarsi su un livello di manifattura più elevato.
L’economia di servizi inoltre è un sistema che si basa profondamente sul singolo, c’e’ uno che vince e si prende tutto, non sviluppano un territorio ma semplicemente lo conquistano essendo basate anche fuori dal mercato in cui operano.
I salari in un’economia basata sui servizi saranno differenziati e spinti verso il basso mentre in una società manifatturiera erano stabili e maggiormente distribuiti. Questo contribuisce e ha contribuito ad una profonda diseguaglianza che si va via via diffondendo nei paesi ad economia avanzata. Accentrare il potere a pochi gruppi sempre più globali che diventano leader di mercato, permette di gestire così le filiere spesso non controlalte, abbassando i prezzi di acquisto e aumentando i prezzi di vendita generando così maggiori profitti e dividendi per manager ed azionisti ma non per il sistema che sta alla base, ne è un esempio lampante la grande distribuzione per esempio alimentare.
Infine non ultimo fattore, negli ultimi anni abbiamo visto riscrivere una serie di regole a danno dei lavoratori in favore di un’ipotetica maggior competitività delle aziende e questo ha aggravato la condizione del lavoro favorendo un miglioramento dei conti di grandi aziende che operano su mercati sempre più globalizzati ma con una netta perdita di sicurezza e di distribuzione del lavoro, aumentando così sempre più il gap.
In tutto questo le politiche (salvo rari esempi) sono state inadeguate lasciando il campo libero al cambiamento delle regole e oggi ci troviamo di fronte a un aumento della spesa pubblica in molti paesi avanzati e la necessità di mettersi a riparo dalla dilagante povertà che sta crescendo di anno in anno.
Il denaro influenza la politica e la politica non riesce ad avere la capacità visionaria per gestire tali cambiamenti, ed è la ricchezza ad avere maggior capacità di cambiare le regole, così ci scandalizziamo a scoprire che l’anno scorso, da soli, 26 ultra-miliardari possedevano l’equivalente ricchezza della metà più povera del pianeta (e nel 2017 erano 43!).
Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochi, che evidenzia l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico e la tendenza registrata l’anno scorso, non fa prevedere nulla di buono per l’avvenire. Nel 2018, infatti, la ricchezza in mano a 1.900 Paperoni è cresciuta di oltre 900 miliardi di dollari (+12%), pari a 2,5 miliardi di dollari al giorno. Per contro, quelle della metà più povera sono calate dell’11%. Si evince il fallimento alla lotta alla povertà e questo fa scricchiolare l’impianto generale e il generale fallimento dell’ingiusta ridistribuzione.
La diseguaglianza sociale è un danno per tutti, ricchi e poveri ed infatti il benessere del pianetadovrebbe essere al centro delle nostre politiche proprio per evitare che vi sia un tracollo dovuto anche ai presenti e prossimi cambiamenti climatici, alle spese sanitarie, alle spese pensionistiche, alle spese di sostegno, alle spese infrastrutturali, alle spese conseguenti ai danni causati da eventi naturali straordinari che è ormai all’ordine del giorno.
Viviamo in un mondo pieno di diseguaglianze, che non solo legate alla povertà economica ma anche alle diseguaglianze culturali, di genere, di protezione sociale, di accesso a servizi pubblici, di educazione e scolarizzazione.
Quella che il bruco chiama fine del mondo,
il resto del mondo chiama farfalla.
(Lao Tzu)
Allora ipotizziamo che l’1% più ricco pagasse soltanto lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio, se ne ricaverebbe un gettito molto superiore al reale fabbisogno per risolvere il problema della scolarizzazione e della assistenza sanitaria. Mi spingo ben oltre se quello 0,5% si trasformasse in 1% avremmo risolto i problemi urgenti che affliggono l’umanità.
Come possiamo pensare allora?
Lo strumento più efficace che conosco è la comunicazione, il mezzo che può diffondere messaggi di conoscenza e consapevolezza dei dati che reggono l’economia del nostro pianeta. Abbiamo molti strumenti oggi cominciamo a utilizzarli meglio, verificando sempre ciò che pubblichiamo e pensando meglio alle campagne che facciamo. Stiamo più attenti e studiamo di più e meglio senza farci influenzare dai media. Creare la narrazione che insieme possiamo fare molto è fondamentale piuttosto che separare ed operare individualmente e possiamo iniziare innescando un meccanismo che coinvolge la nostra famiglia, la nostra comunità, il nostro ambiente di lavoro, per raggiungere poi i leader di aziende e della politica. Dobbiamo farci sentire con idee buone. Immaginate se 1×1 fosse una campagna di sensibilizzazione, potrebbe diventare l’idea per diffondere in ogni angolo del pianeta la consapevolezza che basta poco, davvero poco, l’1% per ognuno del 50% più ricco.
Qualcuno sta pensando che sono pazzo e che questa idea è un’utopia, che letteralmente significa un luogo che non esiste ma se noi lo pronunciamo all’inglese eutopia scopriamo che eu dal greco significa bene.
Ora tirate le conclusioni. Per me è davvero possibile cambiare il mondo e questo genera energia, speranza, desiderio di fare; cambiare da soli è utopia ma muoversi tutti insieme per farlo è eutopia (il luogo del bene!).
Questo pianeta è meraviglioso merita un’umanità meravigliosa che può vivere in pace, vicinanza, rispetto, solo così potremo tutti essere più felici. La speranza e la felicità sono contagiosi e non dobbiamo pensare che tutto questo non sia realizzabile, aspirare a questo è possibile perché aumenta le nostre percezioni e ci migliora in maniera concreta, purché tutti si voglia almeno condividere un messaggio chiaro e semplice: Il nostro molto sarebbe poco o nulla senza il poco di tutti, allora attiviamoci e comunichiamo.