Cosa imparare da Artemisia Gentileschi, grande pittrice dimenticata
Dopo secoli di oblio è diventata un’icona. Di coraggio, intraprendenza, talento. È la storia di Artemisia Gentileschi, donna indomita e grande artista. Una storia che ha rischiato l’oscurità dell’oblio, poiché per secoli è stata poco conosciuta al punto da non essere menzionata neppure nei libri di storia dell’arte. È una storia di talento, di violenza e soprusi e di grandissimo coraggio mostrato da una donna che accetta l’umiliazione di un pubblico processo e il supplizio della tortura quale “prova di Dio” pur di veder condannato lo spergiuro che l’ha stuprata. Una femminista ante litteram nella Roma del ‘600 che fa dell’arte lo strumento della sua libertà e il motivo che la condurrà apprezzare dalle corti di Venezia, Firenze, Napoli e Londra.
Artemisia cresce nella Roma del Seicento, gli anni della Controriforma in cui il papato faceva della Città eterna un grande centro artistico, un ambiente unico in Europa. Un’eccezionale spinta propulsiva porta al restauro di numerose chiese e a svariati interventi urbanistici che sovrappongono all’antica città medievale la magia di strade scandite da immense piazze e da sfarzose residenze. Una città in crescita anche dal punto di vista economico e sociale dato numero di pellegrini che affluiscono in città per visitare i luoghi sacri e rafforzare la propria fede.
Artemisia si avvicina alla pittura in età precocissima; rimasta orfana di madre passa lunghe ore a osservare il lavoro del padre, un pittore di genere fortemente influenzato dalla rivoluzione artistica operata in quegli anni dal genio del Caravaggio, maturando un precoce desiderio di emulazione. La sua formazione avvenne proprio sotto la guida del padre Orazio che, secondo la tradizione dell’epoca, le insegnò innanzitutto la preparazione dei materiali: dalla macinazione dei colori sino alla preparazione delle tele. L’evento che segnò la sua vita fu lo stupro che subì da chi avrebbe dovuto esserle maestro, quel tal Agostino Tassi, un virtuoso della prospettiva in trompe-l’œil. Seguirono anni di processi e di umiliazioni (allora molto più che oggi le donne dovevano “dimostrare” di aver subito violenza) che Artemisia affrontò con una determinazione e un coraggio sbalorditivi, abuso che non solo la mortificava come persona, ma la limitava anche dal punto professionale.
Dobbiamo la sua riscoperta a Roberto Longhi che nei primi del Novecento pubblicò uno studio dedicato ai Gentileschi padre e figlia. Il grande studioso fu il primo a non valutare Artemisia Gentileschi in quanto donna ma come artista portando in primo piano il ruolo che svolse nella prima metà del XVII secolo nell’ambito dei pittori caravaggisti. Il suo giudizio è netto e inequivocabile: “L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto”.
Nella nostra epoca spesso confusa e travagliata, abbiamo bisogno di esempi più che di modelli. Artemisia è un esempio ideale per la nostra società che spesso pecca di ottimismo ritenendo che conquiste di civiltà come il rispetto e la tutela della diversità siano valori acquisiti per sempre. Qual è dunque l’insegnamento di Artemisia?
- La battaglia per la verità, condotta senza paura e con incredibile tenacia.
- La certezza del propri mezzi espressivi: in un mondo terribilmente misogino qual era l’ambiente artistico nel ‘600 Artemisia propone la sua arte con abilità e con sicurezza.
- La volontà di non rinunciare a esprimere la propria femminilità e la cura per la propria famiglia.
- La curiosità intellettuale che la spinse a vivere e a lavorare nelle più importanti città dell’epoca.
L’altra metà del cielo è la risorsa di cui l’umanità non può fare a meno.