Spiritualità orientale e occidentale: due mondi agli antipodi?
Le religioni nel mondo sono molte, spesso condividono messaggi rivolti a tutta l’umanità, altre sono religioni etniche, con divinità peculiari e riti simili all’antico paganesimo (non in senso dispregiativo), altre sono l’una e l’altra. Di per sé, però, tra le religioni maggioritarie del globo, possiamo fare due macro-distinzioni: le religioni abramitiche (che vedono in Abramo il loro progenitore, Ebraismo, Cristianesimo, Islam e Baha’i) e le religioni dharmiche (che vedono nella legge del Dharma il fondamento dell’universo, Induismo, Buddhismo, Giainismo, e in parte il Sikhismo).
Ma ci sono i punti in comune tra queste due spiritualità spesso viste come agli antipodi? Prendiamo a confronto le due religioni più rappresentative dei due gruppi: l’Ebraismo, in quanto origine delle altre fedi abramitiche, e l’Induismo, poiché tutte le altre fedi dharmiche, in un modo o nell’altro, si rapportano con essa.
Il punto cardine dell’Ebraismo è che esiste un solo Dio, unico, solo, Creatore del Mondo, che si è fatto conoscere, per mezzo della Torah e dei profeti, al popolo di Israele, il quale ha il compito di seguire le sue leggi in modo da mostrare al mondo l’unicità di Dio stesso.
Nell’Induismo vi è invece il Purusha, simile al Brahman, ma con una coscienza personale. Esso è identificato come l’essere supremo, radice di tutto il mondo conosciuto, anch’esso unico, ma che si esprime in una pluralità di divinità, energie e, ovviamente il mondo.
Ma ci sono delle differenze sostanziali, vediamole in maniera molto generale!
Nell’Ebraismo, prima dell’inizio dei tempi, vi era solo Dio e niente altro. Dio non aveva nome, poiché anche un nome fornito di lettere era qualcosa al di fuori di Dio. Esso però ebbe una Volontà e da essa creò il mondo. Il mondo è qualcosa di diverso da Dio, infatti Dio dovette auto-limitarsi per dare modo al mondo di esistere. Sebbene il mondo però sia diverso da Dio, e sebbene Dio avesse creato delle leggi fisiche immutabili, il mondo non potrebbe esistere senza la continua azione creatrice di Dio (in poche parole Dio sostiene in ogni momento l’esistenza del mondo, pur rimanendone differito). Dio poi, si manifesta nel mondo direttamente (come nel Sinai con Mosè) o investendo con il suo Spirito i profeti. Nel Cristianesimo, ovviamente, Dio stesso scende sulla Terra nella persona di Gesù Cristo e redime l’umanità tramite il suo stesso sacrificio.
Nell’Induismo invece è diverso. Come prima cosa bisogna dire che l’Induismo non ha dogmi né fedi comuni: ci sono più Induismi che, seppur avendo molto in comune, identificano con diverse divinità il Purusha (alcuni con Vishnu, alcuni con Shiva, o con Lakshmi) e il suo rapporto con il mondo. Le più simili alla visione giudaico-cristiana sono lo Shivaismo Kashmiro o il Krishnaismo basato sugli insegnamenti della Bhagavad Gita.
Nello Shivaismo Kashmiro ogni individuo, l’intero mondo e Dio sono una stessa persona: Paramashiva. Il mondo però, possiede la Maja, illusione, per cui gli individui vedono come pluralità ciò che invece è unità. Scopo di ogni uomo, con l’aiuto della volontà stessa di Paramashiva, è quella di identificarsi con Dio stesso tornando all’unità e sfuggendo alle rinascite dovute a Maja.
Nel Krishnaismo derivato dalla Bhagavad Gita è Krishna l’essere supremo (che in questo caso non è solo l’avatar di Vishnu come vorrebbero altre tradizioni). Similmente all’Ebraismo, Krishna é il Dio supremo, che esiste prima del mondo, dal quale il mondo proviene e dal quale il mondo verrà riassorbito in un eternità di cicli. Krishna crea gli vari Dei, che a loro volta si manifestano come creatori, sostenitori o distruttori del mondo. Ogni cosa esistente però, è parte di Krishna, e non una creazione distinta da esso: ogni cosa dunque pone la sua origine in Krishna ed è Krishna. A differenza dello Shivaismo Kashmiro però, il mondo è solo una piccolissima manifestazione di Krishna. Krishna dunque, in quanto infinito ed eterno (come il Dio di Israele), rimane per la maggior parte nascosto ed il mondo e come un increspatura del suo essere. All’interno del mondo poi, Krishna, pur essendo parte di tutto, viene identificato con il massimo assoluto, per esempio, sebbene Krishna sia presente in ogni luce, viene identificato con quella più splendente, quella del Sole. La liberazione dell’uomo dalla Maja (illusione) e dalla Samsara, il ciclo di rinascite, per vivere in eterno in Krishna, è la dedicazione assoluta al Dio.
Dunque, in termini ontologici, la differenza sostanziale tra il Dio di Israele, e dei cristiani, e Krishna è che nel primo caso il mondo è una creazione di Dio continuamente sostenuta, nel secondo invece il mondo è una manifestazione del Dio.
Il primo è un Monoteismo puro che sfocia nel panenteismo solo in quanto, essendo Dio creatore e sostenitore della Creazione, attraverso essa si può conoscere in parte Dio (come un pittore si può conoscere, in parte, ammirandone una tela), mentre il secondo è un panteismo monistico, un panenteismo monoteistico che a causa della Maja viene percepito come un politeismo.
Anche un’altra però è una sostanziale differenza tra la spiritualità ebraico-cristiana d’Occidente e quella hindu-dharmica d’Oriente, e riguarda più da vicino i fedeli e il loro comportamento: il modo di arrivare alla “liberazione”.
Nell’Ebraismo e nel Cristianesimo l’uomo, essendo imperfetto, cerca di ascendere verso Dio vivendo in modo corretto e agendo secondo le leggi di Dio (la Torah per gli ebrei, i comandamenti Noachidi per i gentili, il Vangelo per i cristiani) o, in certi casi particolari, obbedendo ai comandamenti diretti dati da Dio. Fare dunque ogni cosa per la gloria di Dio. L’obiettivo è quello di dare testimonianza a Dio per rinascere, dopo la morte, accanto a Lui, godendo della pienezza del Suo essere.
Nel Krishnaismo invece, essendo tutti parte di Krishna, la liberazione consiste nel ricongiungere la propria anima con Dio stesso superando Maja. Il superamento di Maja avviene attraverso i sacrifici e i rituali, descritti nei testi sacri come i Veda, compiendo il proprio dovere a seconda della propria casta (poiché anch’esse sono create da Krishna per il mantenimento dell’ordine cosmico), rinunciando ai frutti delle proprie azioni e dedicando la propria vita e ogni gesto (qualunque esso sia) a Krishna.
Sembra che le due liberazioni siano abbastanza simili: seguire gli insegnamenti di Dio e vivere rettamente.
Tuttavia c’è una differenza sostanziale!
Nell’Ebraismo e nel Cristianesimo le azioni devono essere interessate: i comandamenti sono per lo più volti al fare del bene verso gli altri (oltre che lodare Dio). Nel Cristianesimo per esempio si dice di amare il prossimo come se stessi, di sacrificare (nel senso di rendere sacra) la propria vita al servizio degli altri. La compassione, cioè il sentire le pene degli altri come fossero proprie, è valore fondamentale.
Nel Krishnaismo invece è diverso: qualsiasi azione, se dedicata a Krishna, è un’azione sacra. Di per sé, se anche la Bhagavad Gita elogia le azioni volte al bene dell’umanità e del singolo, il modo per raggiungere veramente la liberazione è il distacco! Ogni uomo, per raggiungere Krishna, deve essere impassibile al bene e al male degli altri, ma non solo, deve essere indifferente al proprio bene e male, e anche nel momento dell’azione (incentivata dalla Bhagavad Gita), lo spirito deve essere immobile.
La Bhagavad Gita infatti afferma “Chi è ugualmente tranquillo davanti ad amici e nemici, (ricevendo) adorazione e insulti, e durante le esperienze di caldo e freddo e di piacere e sofferenza; chi ha rinunciato all’attaccamento, considerando allo stesso modo lode e biasimo; chi è tranquillo e contento con qualunque cosa, non attaccato alla vita di casa, ed ha una natura calma e piena di devozione – questi Mi è caro.” (Bhagavad Gita, XII: 18-19)
Tale atteggiamento, come già detto, è in completo contrasto con la religione ebraica o cristiana, sta scritto infatti nella Bibbia: “Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca.” (Apocalisse, 3:15-16), in più, Cristo, spesso critica chi compie un azione, anche positiva, ma che dentro di sé rimane apatico come un “sepolcro imbiancato”.
Ma per noi occidentali, qual è l’esempio da seguire? Un distacco o una attiva partecipazione?
Ognuno faccia la sua scelta, la nostra civiltà è figlia di tutte e due queste spiritualità: sebbene infatti la nostra società sia fondata soprattutto sulla religione cristiana, e sui suoi valori, spesso condivisi dalla religione ebraica, la nostra origine è più vicina alla spiritualità orientale.
Tra tutti gli europei infatti Latini, insieme ai Falisci, i Venetici e gli Elleni (in pratica, la maggior parte degli italiani e i greci) furono molto vicini culturalmente, linguisticamente, e religiosamente agli Ariani (termine con cui si identificano iranici e le prime caste degli indiani). La cultura Vedica (origine dell’Induismo) è molto simile all’antica religione romana e il Mos Maiorum, il codice di valori degli antichi romani, predicava un sommo distacco da tutto ciò che è mondano (anche se non ai livelli hindu).
In pratica siamo eredi spirituali di entrambe le culture e sta a noi prendere ciò che di sacro crediamo ci sia in ognuna, per evolvere come civiltà.