L’importanza vitale di avere un «piano B»
Tutti quanti noi siamo “qualcosa”, da sempre. Dal giorno stesso in cui nasciamo fino al momento della nostra dipartita. Siamo neonati, poi ragazzini, figli, fratelli e poi ancora studenti, laureandi, lavoratori, imprenditori e chissà cos’altro. Fino alla fine, quando diventiamo vecchi e poi decrepiti.
Alcune delle cose che siamo o che siamo stati sono inevitabili e non dipendono da noi. Altre sì, che ci piaccia o no ammetterlo, e non necessariamente lo saranno per sempre. In qualche caso siamo noi a farle finire, decidendo di smettere o di cambiare, ma spesso non dipende da noi, perché a decidere è stato qualcun altro, oppure il destino o una qualche situazione che non possiamo in alcun modo gestire o controllare.
Cosa accadrebbe se..?
Se l’imprevisto da affrontare è qualcosa come una malattia possiamo fare ben poco, purtroppo, così come per la vecchiaia e per la morte, ma per tutto il resto non soltanto c’è rimedio, ma possiamo addirittura predisporre di un “Piano B”, che ci salva il sedere e che ci fa stare più tranquilli mentre affrontiamo la vita, evitandoci battute d’arresto o attutendo il colpo, semmai dovessimo arrivare a metterlo in atto.
L’attitudine a ipotizzare uno o più scenari alternativi e a progettare almeno gli aspetti più grossolani di queste “vie d’uscita” è probabilmente ciò che maggiormente determina l’esito dei momenti più bui della nostra vita.
Cosa fareste se l’azienda per la quale lavorate da anni, e che in apparenza non ha alcun problema, all’improvviso chiudesse o vi licenziasse? Cosa fareste se vostra moglie, che vi ama da quando eravate ragazzi e che non può vivere senza di voi, da un giorno all’altro perdesse la testa per un altro e vi lasciasse? E cosa fareste se un incidente vi costringesse su una carrozzina o vi privasse delle braccia, della vista o della capacità di lavorare?
Le persone più sagge sanno bene che vivere alla giornata è il solo modo per gustare appieno la nostra esistenza, ma pochissime di loro sono così sprovvedute da non guardare avanti e da non ipotizzare “cosa succederebbe se…”, cercando un modo per “mettere in sicurezza” il futuro, mentre si godono il presente.
Cosa siamo davvero?
Per arrivare a definire un buon “Piano B” dobbiamo preventivamente fare chiarezza su noi stessi. Cos’è che siamo davvero? Siamo “il marito o la moglie di…”? Siamo “il Ragionier X”? Siamo il parroco, il vigile, la badante o chissà quale altra qualifica o titolo? Certo, siamo una o più di queste cose, che si sovrappongono e si stratificano sopra al nostro essere profondo; ma se scaviamo e tiriamo via tutte queste sovrastrutture cosa siamo davvero? Perché è solamente questo il punto, lo snodo centrale e il fulcro della nostra esistenza; ciò che potrà portarci a capire che quello che siamo diventati negli anni, per quanto lo abbiamo potuto desiderare, meritare o perseguire con tenacia, non è necessariamente uno status perenne o definitivo, senza il quale non avremmo ragione di esistere. Al contrario, noi tutti siamo “uno, nessuno e centomila”, con accezioni meno drammatiche di quelle pirandelliane, ma tuttavia fatti di forma e sostanza mutevoli, impossibili da fossilizzare in una definizione unica e immutabile. Rendercene conto ci destabilizza, ma è il solo modo per iniziare un percorso che ci porterà a non soccombere di fronte alle eventuali tempeste della vita.
Come si progetta un “Piano B”?
Cercare una possibile alternativa non significa semplicemente immaginare uno o più scenari differenti, ma soprattutto mettere le basi acciocché essi possano eventualmente realizzarsi. Il modo più semplice per prendersi cura del futuro consiste oggi nello stipulare una o più polizze assicurative, un fondo pensionistico, una qualche forma di accumulo che ci garantisca almeno la sicurezza economica. Le moderne compagnie di assicurazione (ma anche le banche, le poste e molti altri soggetti, più o meno qualificati e affidabili) offrono una gamma vastissima di proposte, in grado di coprire pressoché qualsiasi esigenza o circostanza.
Ovviamente è di fondamentale importanza valutare e stipulare le polizze giuste, gestire bene il proprio denaro e le proprie risorse, fare investimenti sensati e prospettici, ma tutto questo non basta e non può essere definito un “Piano B”.
Se esso fosse una macchina, infatti, tutto quanto sopra descritto sarebbe poco più che il carburante per farla viaggiare, ma mancherebbe ancora tutto il resto: telaio, carrozzeria, motore, ruote… ma soprattutto un itinerario, una meta verso cui spingere quell’ammasso di ferraglia senza cervello.
Cosa fare, dunque? Iniziare dal carburante (polizze, fondi, investimenti e altro) è una buona partenza, ma mentre ci preoccupiamo giustamente di non restare senza benzina bisogna pensare alla macchina e alla meta. Meglio al plurale, ipotizzando più scenari diversi.
Scenari che devono necessariamente tener conto delle persone cui vogliamo bene, oltre che di noi stessi. Genitori, fratelli, compagni, amici e parenti non possono essere esclusi dai nostri piani di emergenza, se gli vogliamo davvero bene e non vogliamo dover rinunciare a loro per salvare noi stessi.
Partiamo dunque da noi stessi, per poi inserire gli altri nelle nostre pianificazioni. Chi siamo? Cosa sappiamo fare? Cosa facciamo? Cosa ci piace o ci piacerebbe fare? Cosa potremmo imparare a fare sin d’ora? Chi ci potrebbe eventualmente aiutare? Potremmo farlo dove viviamo ora o dovremmo trasferirci? Quello che abbiamo (ammesso che ci sia ancora dopo l’eventuale “tempesta”) ci servirà ancora? Quanto denaro ci servirebbe per mettere in atto il nostro “Piano B”?
Sono tante le domande che dobbiamo farci, ma più domande ci facciamo e più risposte siamo in grado di darci, nel tempo, maggiore sarà l’efficacia del nostro piano e la sua effettiva attuabilità, perché ad ogni risposta potremo da subito associare uno strumento concreto (es. un accumulo o un piano di risparmio).
Progettare un piano efficace è qualcosa che assomiglia ad una partita a scacchi: i pezzi sulla scacchiera sono ciò che abbiamo oggi, ma dobbiamo essere così bravi da immaginare quali potranno essere gli sviluppi futuri, in positivo e in negativo, perché il nostro “Piano B” parte necessariamente dall’ipotesi che uno o più pezzi del nostro “esercito” vadano perduti.
Ce la caveremo senza uno o più di essi? Come potremmo rimediare o supplire? Prevenire è sempre meglio che curare ed è questo che dobbiamo sforzarci di far. Il nostro lavoro di progettazione si fonda proprio su questo: mettere nuove basi, ricostruire le fondamenta, riparare i danni prima che essi si verifichino e con il minor numero di risorse ipotizzabili, perché dover ripartire da zero non è frequente né probabile, ma purtroppo è drammaticamente possibile e il nostro “Piano B” deve necessariamente prevedere anche questa sciagurata opzione.
Conclusioni
Progettare un “Piano B” è un lavoro difficile, ma anche affascinante. E c’è una buonissima notizia: se sarete bravi a progettare e ad immaginare, ciò che avrete ipotizzato potrà servirvi anche per un cambio di vita volontario, invece che per rimediare ad una sciagura.