Quello che serve per cambiare lavoro secondo il fondatore di LinkedIn
Essere insoddisfatti del proprio lavoro è una cosa magnifica. Uno stimolo pazzesco che apre al cambiamento, a una nuova avventura. Perché allora il più delle volte questa cosa ci demoralizza? È presto detto: perché è più facile crogiolarsi nella sensazione di fallimento che questo pensiero ci produce anziché sviluppare un piano per cambiare lavoro.
Secondo Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn e autore del libro The Startup of You, per compiere un balzo in avanti nella propria carriera professionale sono necessari tre elementi:
- un network a cui attingere;
- un vantaggio competitivo;
- una capacità di adattamento.
La notizia positiva è che tutti abbiamo o possiamo procurarci queste tre competenze.
Il network
Ognuno di noi ha una rubrica del telefono e una collezione di amici sui diversi social network, ma il più delle volte queste persone non sappiamo neppure che lavoro facciano. Il punto di partenza per cambiare lavoro consiste nell’identificare le persone con cui abbiamo i migliori contatti sociali o professionali. Magari si tratta di colleghi con cui abbiamo lavorato, fornitori con cui siamo in contatto o semplici amici. O anche, amici di amici: manifestare all’interno della propria cerchia di amicizie l’interesse a cambiare attività professionale, descrivendo la necessità di progredire nella propria carriera, è il modo migliore per scoprire contatti che alle volte non avremmo neppure immaginato di avere.
Un modo per iniziare a coltivare il proprio network è riprendere i contatti con amici e colleghi che lavorano in settori in cui siamo interessati a proseguire la nostra carriera, per esempio contattandoli per un caffè o un pranzo insieme, o anche solo scrivendogli un messaggio su Facebook o un’email. Non è detto — e molto probabilmente sarà così — che questo primo contatto si riveli utile, ma cambiare lavoro è un processo che richiede tempo, e questi contatti che magari oggi appaiono inutili domani si riveleranno determinanti.
Per coltivare relazioni professionali utili alla nostra crescita è necessario dare senza necessità di ricevere, sostiene Hoffman, perché quando ci comportiamo così prima o poi qualcosa torna indietro. Dare non significa sempre e comunque a livello professionale, ma anche e soprattutto a livello umano, perché i migliori contatti sono quelli con le persone che ci apprezzano innanzitutto dal punto di vista umano.
Un altro modo di sfruttare il nostro network è condividere con amici e colleghi il nostro desiderio di confrontarci con nuove sfide, all’interno o anche all’esterno dell’azienda in cui lavoriamo. Magari hanno sentito di posizioni di lavoro aperte, o magari hanno dei suggerimenti utili per noi. Perché, che lo vogliamo o meno, sono loro quelli che meglio ci conoscono. E proprio per questo i più adatti ad aiutarci a identificare i nostri punti di forza.
Il vantaggio competitivo
Una volta individuati i nostri punti di forza, è necessario filtrarli per comprendere fra le nostre competenze quale ci renda unici. Quale sia l’1% che ci rende diversi da chiunque altro in un determinato campo. Spesso, si tratta di convergenze di diverse passioni.
Per individuare e coltivare il nostro vantaggio competitivo occorre concentrarsi sull’incrocio fra le nostre passioni, le nostre competenze e le esigenze del mercato. Il fondatore di Apple, Steve Jobs, nel suo discorso ai neolaureati di Stanford, e quello di Andreessen Horowitz, uno dei più importanti fondi di venture capital al mondo, Ben Horowitz, nel suo intervento alla Columbia University, hanno evidenziato questa necessità da due punti di vista, quello delle passioni (Jobs) e quello delle competenze (Horowitz). I ricercatori Zenger e Folkman nel loro testo Il leader straordinario. Trasformare buoni manager in leader eccellenti, hanno invece definito il modello dell’incrocio fra passione, competenze e capacità di cogliere i bisogni dell’azienda, che per esteso sono le opportunità di mercato. Le quali, nel nostro caso, si tramuto in richieste da parte del mondo del lavoro.
Cambiare lavoro però non è una scienza, e per questo occorre sapersi adattare, sottolinea Hoffman, individuando quale delle nostre passioni e delle nostre competenze sia necessario incrociare per incontrare le richieste del mercato.
Capacità di adattamento
Non basta un piano per cambiare lavoro. Hoffman suggerisce di svilupparne tre:
Piano A: è il nostro nuovo lavoro, e illustra tutto quanto dobbiamo fare per arrivare a farlo;
Piano B: è una variante del piano A, in caso il piano A si riveli inefficace;
Piano Z; è la nostra scialuppa di salvataggio, da utilizzare in caso gli altri piani non ci portino da alcuna parte.
Senza un piano Z, passare dal piano A al piano B è troppo rischioso, avverte Hoffman.
Secondo il fondatore di LinkedIn per realizzare i piani di cui sopra è fondamentale:
– imparare (facendo) cose nuove ogni giorno;
– fare ogni giorno piccole scommesse da cui possiamo tornare indietro;
– ipotizzare sempre gli scenari futuri.
Come creare i presupposti per il cambiamento
Mettere in pratica un piano per cambiare lavoro richiede una certa predisposizione a cogliere opportunità che possiamo trovare solo sviluppando un’apertura totale al cambiamento, ovvero diventando curiosi di qualunque cosa ci giri attorno. Frequentando gruppi di persone che abbiano le nostre stesse passioni — ma anche diverse —, coltivando l’abitudine di vedere opportunità in ogni problema, e soprattutto prendendosi rischi intelligenti. Prendersi un rischio intelligente significa cambiare qualcosa creando le basi per evitare che quel cambiamento mandi tutto a scatafascio.
In Il cigno nero, Nassim Taleb, un broker che ha avuto successo quando le borse sono crollate, illustra come un piccolo incidente sia spesso molto utile a evitare una tragedia. Cambiare è sempre un rischio, ma proprio per questo per cambiare la propria vita occorre farlo un passo alla volta. Il piano A, quando accompagnato da un piano B e un piano Z, è un piccolo rischio.