Intelligenza artificiale, 4 concetti essenziali (da abbandonare o abbracciare)
Premessa doverosa: chi scrive vede con favore la ricerca sull’intelligenza artificiale, così come i vantaggi che possono derivare da una sua applicazione massiccia da parte di industrie, aziende, persone che decideranno di servirsene per cambiare, possibilmente in meglio, la propria vita. Si sgomberi il campo da ogni ambiguità: lo spauracchio della disoccupazione tecnologica, ovvero il disastro sociale in virtù del quale i robot ruberanno il lavoro agli esseri umani e ci porranno in una condizione di subalternità nei confronti delle macchine, è uno scenario che non mostra, dati alla mano, segnali concreti di potersi realizzare a breve. Il che è un bene, senza contare l’evidenza passata, che mostra come gli uomini siano sempre stati in grado di reagire di fronte alle grande innovazioni (rivoluzione industriale, elettrica, informatica di prima generazione) generando sempre più lavori di quelli che vengono distrutti.
Ecco, fatta la premessa, è bene però definire il campo dell’intelligenza artificiale utilizzando molto il sostantivo, vale a dire l’intelligenza. L’AI è tema di una complessità vastissima che è bene non accogliere con la distopia da Black Mirror, ma neppure con l’entusiasmo pollyannesco di chi, fideisticamente, vede nell’innovazione tecnologica necessariamente un cielo senza nuvole.
Per aiutarci a fare questo, c’è un libro poderoso, non nuovissimo (2014) in un dibattito che scade come gli yogurt, ma ancora attuale, scritto da un filosofo di Oxford, Nick Bostrom. È un bel libro di 500 pagine, ma potete gustarvi la pillola in questo bellissimo TED, dedicato appunto al titolo del libro: Superintelligenza.
Perché ci serve parlare di questo libro e perché non farebbe male leggerlo?
Perché il tema dell’intelligenza artificiale e del possibile sviluppo di una super-intelligenza ha delle implicazioni che, potenzialmente, sono davvero dirompenti e, sicuramente, uniche nella storia dell’umanità. E perché riteniamo che il modo migliore di accogliere l’intelligenza artificiale nella vita di tutti i giorni sia quello di definire dei paletti.
Il libro è pieno di spunti, ma noi ne abbiamo scelti quattro, che servano da aperitivo per fare gola al lettore curioso:
- Innanzitutto una super-intelligenza non è necessariamente come ce la possiamo immaginare cinematograficamente (anche se film come Transcendence o 2001 Odissea nello Spazio sono molto meno fantascientifici di quanto si possa pensare). Cioè, non è che un’esplosione di intelligenza per forza debba tradursi in un Hal 9000, un computer senziente che prende il potere sviluppando un singleton malefico che avrà ragione della specie umana. L’esplosione di intelligenza può avvenire anche come effetto della connessione totale tra menti o per via biologica. Per molti sembrerà banale, ma la questione merita un piccolo approfondimento. La super-intelligenza può nascere in virtù, per esempio, di sempre maggiori persone connesse alla rete, attraverso oggetti smart e device perennamente collegati tra loro, in una specie di Avatar in cui il tutto diventa più della somma delle sue parti. Oppure, per via biologica, può avvenire attraverso il potenziamento e la selezione anche genetica di tratti migliorativi delle capacità cognitive, di modo tale che, un domani, sempre più persone con un QI più alto possano popolare il pianeta Terra. Non ci pare cosa di poco conto: la singolarità si può raggiungere in parecchi modi diversi.
- Pensare all’intelligenza artificiale significa abbandonare ancora più radicalmente un modo di pensare lineare e, soprattutto, l’antropomorfizzazione spinta di una super-intelligenza. Questo, banalmente, si traduce in un’immagine molto efficace: c’è molta meno distanza tra lo scemo del villaggio ed Albert Einstein che tra un cervello umano e quello di un topo. Ecco, per dire che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, soprattutto nel caso di una super-intelligenza, può davvero lasciarci spiazzati, almeno a livello di accoglienza, se non la incorniciamo nel giusto framework teorico.
- Proprio per la natura dirompente di una super-intelligenza, chiunque sarà in grado di svilupparla per primo potrà acquisire un vantaggio competitivo incolmabile nei confronti di chi segue. Il che porta con sé alcune domande essenziali: CHI sarà ad acquisire questo vantaggio (un governo democratico, una dittatura, una mega azienda)? Quale sarà la funzione obiettivo di questo innovatore: avrà cura di tutta l’umanità o solo dei propri interessi? Quanto saremo in grado di accorgerci che un singleton (ovvero, un’entità in grado di prendere il potere a livello globale) sta per emergere dalla corsa allo sviluppo dell’AI?
- Per paradossale che possa sembrare, ma il modo migliore di guardare con speranza allo sviluppo dell’intelligenza artificiale è partire da un’opzione di default molto chiara e netta: se non si farà nulla, l’esito per l’umanità sarà catastrofico. In mancanza delle opportune riflessioni e decisioni annesse, dunque, l’umanità è a rischio estinzione.
Su, un bel sorriso!
Questi sono solo alcuni spunti, ma possono servire per riflettere su un tema di grandissimo impatto con la giusta dose di raziocinio e, per strano che possa apparire dopo le ultime trombe dell’Apocalisse, con positività. La stessa di Stephen Hawking o Elon Musk (sì, ci avvaliamo del principio di autorità e non ce ne vergogniamo), persone di specchiata genialità che hanno espresso più di un dubbio critico sulla retorica del ‘sarà tutto rosa e fiori’.
Si sente spesso dire che “non temo l’intelligenza artificiale, ma la stupidità umana”. Verissimo, ma non c’è niente di più stupido, umanamente, che affrontare questo tema con la leggerezza di chi crede di avere di fronte il classico problema umano. Non è così e sarà bene accorgersene.
Ve lo dice lo scemo del villaggio globale.