Reverse mentoring: perché ascoltare i più giovani a volte è utile
La storia dell’umanità è rappresentata da un lungo cammino di conoscenza: dalla scoperta del fuoco alla costruzione delle città, dall’invenzione della stampa alle rivoluzioni digitali, il sapere si è sempre trasmesso linearmente e, nella maggior parte dei casi, dai più vecchi e saggi ai più giovani e inesperti. Siamo sempre stati abituati a pensare, infatti, che siano sempre i più giovani a dover imparare dai più grandi. Eppure negli ultimi decenni questo incrollabile concetto si sta modificando lentamente e nuove esigenze in campo comunicativo e lavorativo hanno aperto sempre più la strada al reverse mentoring.
In un mondo in cui si moltiplicano gli ambiti e le capacità di apprendimento non è infatti sbagliato dar ascolto anche a chi tradizionalmente viene considerato “con meno esperienza”. Questo è cruciale in settori come il digitale o l’innovazione tecnologica: molto spesso il gap con le generazioni che sono nate prima o agli albori di questi cambiamenti epocali è più difficile da colmare. L’aveva intuito già nel 1999, allora CEO di General Electric, che si dice sia stato fra i primi negli Stati Uniti a inserire un percorso di mentoring “al contrario”: fu lui, infatti, a intuire che i top manager della sua azienda dovessero mettersi a disposizione di giovani impiegati e imparare da loro i rudimenti della nascente Internet.
Per comprendere meglio le potenzialità di questa dinamica invertita è bene chiarire un comune fraintendimento riguardo al concetto di “mentore”: è vero che fin dalla nascita di questa parola (che viene dal personaggio dell’Odissea Mentore, a cui Ulisse lasciò in custodia il giovane figlio Telemaco prima di partire per Troia) la si associa a una disparità di età, il più anziano che insegna al più giovane. Ma non sarebbe più sensato sostituire il parametro anagrafico con quello di competenza? È ovvio che, per funzionare, una mentorship deve far in modo che ci sia uno scambio e un apprendimento effettivo di informazioni, da chi ne ha di più a chi ne ha di meno.
In questa nuova concezione questo fenomeno assume ancora più senso e importanza. Certo, negli ambienti in cui le gerarchie sono stabilite secondo rigidi criteri di merito e carriera non sarà facile invertire il flusso dell’insegnamento, ma una volta raggiunto l’obiettivo i risultati saranno ancora più proficui. Perché, anche qui contrariamente a quanto possa far pensare il termine, nel reverse mentoring non c’è sono un gruppo, quello con età più avanzata, che apprende passivamente, ma lo scambio è fruttuoso per entrambe le parti.
Molte realtà di consulenza lavorativa, come l’americana We Are Open o l’italiana Wise Growth, consigliano non a caso il reverse mentoring come strumento per rinsaldare i legami fra colleghi creando un ambiente di lavoro aperto e costruttivo. Da una parte, infatti, i più anziani saranno aggiornati da un bagaglio di conoscenze che difficilmente avrebbero potuto acquisire in autonomia; dall’altra, i più giovani fanno esperienza a tutto tondo delle dinamiche aziendali e imparano a confrontarsi con chi, per ragioni appunto anagrafiche o di ruolo, difficilmente avrebbero avuto a che fare.
Ma che cosa serve affinché la pratica del reverse mentoring sia effettivamente fruttuosa?
L’esperta di Forbes Lisa Quast indica i seguenti criteri:
- La definizione di aspettative precise, in modo che ognuno sappia cosa deve imparare o insegnare e non ci siano spiacevoli sconfinamenti di ambito o competenze.
- La volontà di imparare, che deve essere condivisa e liberata da pregiudizi o blocchi mentali.
- La fiducia: alimentare un dialogo fra colleghi che altrimenti correrebbero sui propri binari paralleli contribuisce a creare consapevolezza e sinergia nel team.
- La trasparenza è in questo caso un valore imprescindibile: ammettere i propri limiti ma anche manifestare apertamente i propri obiettivi e le proprie esigenze è fondamentale per la riuscita di un gruppo di lavoro di questo tipo.
Affidarsi con positività a processi di insegnamento a senso inverso è dunque un modo importante per tenere la propria azienda al passo coi tempi, mantenendo tutti i dipendenti, al di là dell’età o di altri fattori, aggiornati sugli ultimi trend e soprattutto favorendo la formazione di team collaborativi e mentalmente stimolati. Con questo non si vuole dire che i giovani sono in assoluto i detentori della “verità”, anzi che ci sia sempre da imparare da chi ha più anni di noi rimane un consiglio fondamentale. Eppure allenarsi all’ascolto del diverso, chiunque esso sia, è un insegnamento da tenere sempre molto a cuore.