Un futuro a zero emissioni non deve lasciare indietro nessuno
Negli ultimi anni i governi e le associazioni mondiali hanno ribadito un impegno importante per il nostro pianeta: abbattere gradualmente le emissioni fino ad annullarle completamente entro il 2050. Un futuro a emissioni zero, in cui le fonti energie fossili sono del tutto soppiantate da quelle rinnovabili, è concretamente possibile ma solo se l’azione dei paesi, delle istituzioni e dei cittadini del mondo è immediata e collettiva. Alcune marce indietro, come quella degli Stati Uniti di Trump che si sono sfilati a sorpresa dagli accordi di Parigi, non rendono questo obiettivo meno probabile ma fanno aumentare l’impegno che ognuno deve impiegare affinché il target sia raggiunto: le nazioni che hanno ratificato l’accordo, ad esempio, si impegnano a perseguire i cosiddetti obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG) su cui ognuno di noi può impegnarsi. Il presidente francese Macron ha dichiarato, durante l’ultimo World Economic Forum, di voler fare divenire la Francia riferimento nella lotta contro il cambiamento climatico con conseguenti vantaggi in termini di attrattività e competitività. Le persone e quelle di talento in particolare vorranno vivere dove si sta bene, questa strategia permetterà di creare molti posti di lavoro.
Il risultato, che a molti può sembrare utopico, è invece di una cruciale concretezza. Proprio per questo non bisogna dimenticare che l’intero settore dell’energia proveniente da combustibili fossili è un’industria che dà da mangiare a numerose persone in numerose aziende nel mondo e la transizione verso un futuro più pulito, che deve essere perseguita, non può passare sulla pelle di quegli stessi lavoratori: sono minatori, estrattori, operai, ma anche ingegneri, periti chimici e molti altri specialisti che hanno contribuito, dagli albori dell’industrializzazione a oggi, a gettare le basi della nostra economia e del nostro benessere.
Che cosa fare, quindi, di tutte quelle persone che sono impiegate in questi ambiti? Ovviamente l’abbandono dell’energia non pulita comporterà la chiusura di attività o, perlomeno, la loro riconversione. Allo stesso modo anche ai lavoratori va garantita una giusta transizione verso nuove occupazioni, nuovi posti di lavoro che siano dignitosi e remunerativi tanto quanto lo erano i precedenti, se non di più. Non è facile dislocare intere esistenze su nuovi settori, nuovi ruoli: a maggior ragione bisogna instaurare un dialogo aperto e inclusivo con queste persone, valutandone al meglio le competenze attuali e costruendo assieme a loro un’alternativa.
Questo comporta il coinvolgimento di tutti i protagonisti dell’economia, dei settori pubblici ma anche di quelli privati. Soprattutto bisogna instaurare un nuovo tipo di cultura, che veda nella transizione a un mondo a zero emissioni come una continua opportunità non solo di migliorare lo stile di vita ma anche di guadagnare in modo più pulito, sostenibile e soprattutto duraturo. Stiamo parlando di una crescita concreta, vantaggiosa per tutti: secondo il Ministero americano dell’energia e dell’ambiente nel 2016 l’energia pulita ha sostenuto più di 3 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti, con l’industria solare ed eolica che creano nuove occupazioni 12 volte più velocemente del resto dell’economia Usa; perfino grandi aziende come General Motors e Wal Mart attestano risparmi notevoli, fino a 25 milioni di dollari l’anno, dall’impiego di fonti rinnovabili.
Sono dati concreti, appunto, che fanno capire come un futuro ecosostenibile non sia solo una necessità ambientalista ma anche una miniera inesauribile di opportunità e nuovi posti di lavoro. Ma ciò significa che i posti di lavoro devono essere per tutti, anche per coloro che fino ad ora hanno operato in settori che andranno per forza di cose dismessi. Sembra anche qui uno sforzo immane, ma la cooperazione è la strada. Enti internazionali come il Just Transition Centre si occupano di veicolare “un’equa transizione che metta insieme lavoratori, comunità, imprenditori e governi in un dialogo sociale”, affinché si possano appunto mettere in atto trasformazioni veloci, giuste e sostenibili.
Il preconcetto, in effetti, è che rinunciare all’industria del petrolio e di altre simili materie inquinanti possa portare a una riduzione del nostro stato di “benessere”. Ma se questo “benessere” finora si è basato solo sui carboni fossili, non è detto che ciò debba e possa durare in eterno. Anzi, come visto, fonti rinnovabili come il sole e il vento creano circoli virtuosi che aiutano a far prosperare le comunità, creare nuove opportunità di lavoro e migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Va ribadito un concetto, ancora una volta: sembrano obiettivi astratti e pieni di buoni propositi, eppure sono soluzioni che non solo dobbiamo adottare con urgenza per il bene nostro e del pianeta ma che hanno ricadute concrete e positive sulla vita di tutti. Ma affinché questo avvenga proprio il “tutti” deve essere una realtà viva e concreta: il contributo di ognuno è fondamentale, così come il dialogo fra le parti. Un futuro a zero emissioni è per noi e i nostri figli la possibilità di gettare le basi per un futuro pulito e sostenibile. Ma sarà tale solo se lo sarà per tutti, nessuno escluso.