Fallire non è una vergogna: è un'opportunità per crescere
Da qualche anno si sta sviluppando una benefica attenzione, almeno nel mondo del business, al tema del fallimento. Il laboratorio di ricerca Google X, che progetta in gran segreto le innovazioni che potranno cambiare radicalmente le nostre vite, da tempo premia i “migliori fallimenti” dei propri dipendenti. Così accade anche al colosso Procter & Gamble con il suo “heroic failure award” e all’italiana Enel con l’iniziativa “Best Failure Award” per riconoscere il valore degli errori e il coraggio delle persone che pubblicamente ne parlano con trasparenza. Tanti sono i vantaggi di una buona tolleranza agli sbagli: secondo Jacob Morgan, di Forbes, in questo modo le aziende riescono ad incoraggiare l’innovazione, migliorare il coinvolgimento e, in ultima analisi, ad essere più efficienti.
Esiste un famoso libro di John C. Maxwell: “Sometimes You Win, Sometimes You Learn”. In sintesi: non sempre si può vincere, ma – quando non accade – è necessario trarne una lezione.
In realtà, nella vita di tutti i giorni, al di là delle dichiarazioni di intenti, è difficile costruire davvero questo spirito di apertura all’errore. Un po’ perché le aziende, soprattutto le grandi, hanno nel loro DNA l’avversione al rischio, un po’ perché la cultura non sempre vede con favore gli obiettivi mancati. Basti pensare allo stigma che accompagna gli imprenditori che hanno fronteggiato rovesci finanziari e che vengono definiti “falliti”, come se la vicenda economica negativa trasferisse in modo diretto le sue ombre sulla persona stessa. Nell’approccio americano, invece, lo startupper che ha alle spalle diversi fallimenti viene, al contrario, riconosciuto come una persona più solida, avendo presumibilmente tratto delle lezioni da tali errori.
Come possiamo dunque fronteggiare i fallimenti?
Non isolarsi
Per quanto sia naturale cercare di nascondere i propri sbagli, nella speranza che gli altri non se ne accorgano, in realtà l’atteggiamento migliore è quello di parlarne apertamente anche per cercare di “fare squadra”. Analizzare l’errore, infatti, è il primo gradino che è necessario superare. In questo caso il suggerimento è apprendere dai migliori, ovvero da quelle situazioni in cui una corretta gestione degli errori può consentire addirittura di salvare delle vite. Intermountain Healthcare è un complesso di 23 ospedali nello Utah nel quale è stato attivato un sistema continuativo di analisi delle deviazioni dai protocolli (fonti, quindi, di potenziali pericoli). L’aperta condivisione di questi dati da parte del personale sanitario consente da un lato di prevedere e minimizzare ulteriori errori dall’altro, persino, di notare se tali deviazioni non possano portare a miglioramenti nelle tecniche di cura.
Cercare soluzioni
La condivisione è utile anche per poter trovare delle soluzioni, sia che gli altri siano colpiti dagli effetti dei nostri errori sia che ne siano estranei. Anzi, in quest’ultimo caso, è addirittura più interessante ricevere un parere esterno. Ancora oggi nei colloqui di assunzione si richiede la capacità di “problem solving”, mentre sarebbe più utile assumere collaboratori con caratteristiche di “solution finding”. Steve Muller, del blog Planet of Success, la vede così: “Una mentalità orientata al problema non aiuta a risolvere situazioni difficili, il che sarebbe particolarmente necessario nel caso in cui si debbano trovare velocemente delle soluzioni per un problema che sta per manifestarsi. Oltretutto, un approccio focalizzato sul problema può avere effetti negativi sulla propria motivazione”.
Coltivare l’ottimismo
Quanto più è catastrofico il nostro fallimento tanto più è difficile non lasciarsi travolgere dalle emozioni. In psicologia, il proactive coping è la capacità di far fronte ad una situazione gravosa attraverso lo sviluppo di un atteggiamento positivo fortemente orientato al miglioramento personale. Secondo gli specialisti di Centro Moses, “se una persona ha affrontato diverse volte e con successo una situazione vissuta come stressante, la situazione stessa cesserà di essere stressante perché la persona non percepirà più uno squilibrio tra le richieste dell’ambiente e le capacità di farvi fronte”. Il che significa, in altri termini, che maggiori sono le occasioni in cui ci troveremo a fronteggiare apertamente i sentimenti che derivano dall’errore, migliori sono le opportunità per noi di sviluppare una personalità in grado di cogliere le opportunità di miglioramento che ne derivano.
Lev Tolstoj celebrava tutto questo come “L’energia dell’errore”: “Desiderava – scrive il critico Viktor Šklovskij – che gli errori non finissero. Erano le tracce della verità. Erano la ricerca del senso della vita”