Va bene il lavoro in team ma ecco 3 ragioni per cui, sul lavoro, occorre anche una "cultura della solitudine"
Negli ultimi vent’anni nel mondo del lavoro si è affermata la mitologia del lavoro in gruppo. Abbiamo giustamente enfatizzato l’idea della collaborazione, della partecipazione, dello stare insieme, del progettare insieme, sempre e comunque. Non sono state solo chiacchiere da conferenza di management. La vita lavorativa della maggior parte di noi è infatti una reale continua interazione con i nostri colleghi, partner, clienti: riunioni, condivisioni, allineamenti. Abbiamo capito quanto sia importante coordinarsi con gli altri e comunicare efficacemente.
Sui CV di tutti noi è scritto che abbiamo splendide capacità di team working. Tutto ottimo e utile. Tuttavia il mondo del lavoro che si sta profilando sembra dirci che queste competenze “sociali” restano zoppe se non riprendiamo in considerazione le nostre competenze “di solitudine”, la nostra capacità cioè di dedicarci allo studio e all’approfondimento individuale e silenzioso, magari offline e magari cartaceo.
Il motivo di questa rinnovata attenzione per le abilità “di solitudine” è scritta nell’evoluzione dell’economia. Le aziende sono sempre di più “macchine pensanti” alla ricerca di soluzioni creative che generino continua innovazione e valore aggiunto. E queste macchine pensanti hanno bisogno di “pensatori”, di persone capaci di studiare e analizzare un problema in profondità, un tipo di performance che è tipicamente individuale e solitaria. Oggi le aziende accanto all’enfasi per il team work dovrebbero quindi favorire per i propri dipendenti lo sviluppo di una cultura “della solitudine”. Ecco i tre motivi di questa piccola grande rivoluzione:
1) Le mansioni routinarie ed esecutive vengono appaltate alla tecnologia o alla concorrenza globale di lavoratori a basso costo. Per tutto il resto le aziende hanno bisogno di persone che producano valore aggiunto, idee, soluzioni. È questo il motivo per cui le aziende cercano talenti capaci di comprendere le situazioni con maggiore profondità, di cogliere meglio i rapporti causa effetto e le interazioni tra fenomeni. In altre parole le aziende cercheranno sempre di più approcci analitici, professionisti abituati a studiare, scrivere, cancellare, riscrivere, costruire e attivare associazioni concettuali. Le aziende sono destinate a diventare dei “pensatoi”, e dunque dei luoghi che favoriscono la riflessione silenziosa, consentendo di alternare ai tanti momenti di aggregazione momenti di solitudine. Non è un caso che il leader di Amazon Jeff Bezos affermi con fierezza che “Le nostre riunioni cominciano con 30 minuti di lettura silenziosa.”
2) Nell’epoca della distrazione digitale e del sovraccarico informativo passare più tempo da soli significa allenare la nostra mente ad essere più focalizzata. La concentrazione è un muscolo che deve essere allenato. Oggi resisto 10 minuti a pensare o a scrivere senza interazioni con colleghi o mail/smartphone. Domani applicandomi resisterò 15 minuti, dopodomani 20. E così via. L’Università di Chicago ha dimostrato in uno studio che l’utilizzo dello smartphone oltre a distrarci ci toglie capacità di memoria e capacità di analisi. Un motivo in più per immaginare delle prassi che si fondano sulla “disconnessione silenziosa”: lascio il mio cellulare sulla scrivania o in sala riunioni e cerco un posto dove potermi concentrare completamente su un’attività, con il solo supporto di carta e penna.
3) Favorire la cultura dello studio e dell’approfondimento individuale in azienda significa anche offrire alle persone preziosi momenti di decompressione. In azienda ci carichiamo di tensione, nelle sale riunioni, al telefono, nel confronto con colleghi e clienti. Immaginare dei momenti di solitudine in cui scaricare nervosismo e ansia sociale significa contribuire al benessere psico fisico delle persone oltre che alla loro produttività.