Imparare a sopportare i "no" vuol dire allenare una dote indispensabile: la resilienza
La strada verso il successo è costellata di ostacoli. Lo sanno bene coloro che hanno raggiunto risultati importanti nella propria vita. Una delle ragioni per cui non si raggiungono i propri obiettivi risiede nel fatto che si rinuncia troppo presto, spesso alle prime serie difficoltà.
I fallimenti antecedenti il successo sono in molti casi la norma, passi quasi obbligati per il conseguimento di ciò che realmente desideriamo. Ma proviamo a chiederci: quanti “no” siamo in grado di affrontare? Quante “batoste” siamo pronti a sostenere? Quanto siamo disposti a rialzarci dopo ogni caduta?
Esiste un concetto che traduce la capacità di fronteggiare efficacemente le avversità che incontriamo nel nostro percorso di vita, personale e professionale: si tratta della resilienza. Mutuato dalla fisica, dove il termine indica la resistenza di un materiale sollecitato meccanicamente, resilienza è per la psicologia la capacità di un individuo di resistere a un evento traumatico, riformandosi e rigenerandosi. Ogni porta in faccia, ogni “no” che riceviamo possono rappresentare concretamente la possibilità di esercitare l’arte della resilienza, resistendo con flessibilità mentale e comportamentale, sfidando noi stessi, sempre di nuovo; rialzandoci ogni volta, più forti e consapevoli.
Molti sono gli esempi illustri di persone che, con un atteggiamento resiliente, hanno superato numerosi “no”, fino a raggiungere un successo ardentemente desiderato. Eccone alcuni.
- Albert Einstein nel 1895 fu bocciato all’esame d’ammissione al Politecnico di Zurigo per insufficienze nelle materie letterarie. La delusione non lo fermò. E il resto è storia.
- I 10.000 tentativi di Thomas Edison di perfezionare l’invenzione della lampadina rappresenterebbero altrettanti fallimenti. Eppure, il geniale inventore così commentava questa lunga serie di insuccessi: “Io non ho fallito 10.000 volte nel fare una lampadina; semplicemente ho trovato 9.999 modi su come non va fatta una lampadina”.
- Walt Disney, all’inizio della propria carriera, fu rimosso dall’incarico presso il giornale “Kansas City Star” con questa motivazione: “Manca di immaginazione e non ha buone idee”. Prima di ottenere i finanziamenti per la Walt Disney Company, fu respinto ben 302 volte. E mostrò la capacità di superare 302 “no”!
- Michael Jordan da bambino sapeva di amare il basket e voleva farne una carriera, ma nessun allenatore lo considerava, perché troppo basso. La futura leggenda del basket fu rifiutata dalla squadra di pallacanestro del liceo! Jordan tirò dritto, attraverso una serie significativa di insuccessi, che contribuirono a plasmarne il definitivo successo.
- Steven Spielberg, uno dei più grandi registi del nostro tempo, fu respinto dalla School of Cinema Arts della University of Southern California; non una, ma ben due volte. Non ha lasciato che questo doppio “incidente” lo distogliesse dal suo obiettivo di fare film. Procedette, con spirito resiliente, fino a raggiungere i risultati per cui lottava fin da giovanissimo.
- Le 1009 risposte negative che incassò nell’arco di due anni non allontanarono il Colonnello Sanders dal suo obiettivo di vendere la ricetta del suo inimitabile pollo fritto. E nel 1952, all’età di 67 anni, dopo un lungo girovagare nell’intero territorio statunitense, finalmente trovò un’acquirente, un ristorante che acquistò in licenza il suo servizio. Nasceva così KFC, ossia “Kentucky Fried Chicken”, oggi una delle catene di fast food più importanti a livello mondiale. Il logo aziendale tuttora reca l’immagine di quel simpatico signore sorridente, con baffi e capelli bianchi, che in età avanzata, appena andato in pensione, invece di dedicarsi ai suoi hobby, intraprese una nuova sfida. Una strada impervia, costellata di 1009 “no”. Tenacemente superati con atteggiamento resiliente.
Sono solo alcuni esempi. Che mostrano come nonostante i continui “no”, le sconfitte, i rallentamenti, i piccoli o grandi ostacoli, il successo si ottenga grazie alla pratica della resilienza, quella folle razionalità che sprigiona la forza per rialzarsi dopo l’ennesima caduta, quella capacità di ristrutturare la percezione di ogni fallimento, attribuendogli un significato nuovo, positivo e costruttivo.
Sviluppare la resilienza si può. Nessun segreto particolare, si tratta solo di consapevolezza e pratica. Lo psicologo Pietro Trabucchi, nel suo libro “Resisto dunque sono”, riguardo alla resilienza propone il modello “ABCDE”:
A come Adversity, ossia le difficoltà che incontriamo nella nostra vita, gli eventi avversi su cui non abbiamo il potere di controllo;
B come Beliefs, le nostre credenze, tutte le convinzioni che abbiamo maturato nel tempo e che rappresentano i filtri attraverso i quali interpretiamo la realtà;
C come Consequences, le nostre reazioni fisiche ed emotive agli eventi;
D come Discussion, cioè il momento in cui mettiamo in discussione le nostre reazioni immediate ed istintive, riprendendo il controllo razionale della situazione; è proprio qui che entra in gioco la resilienza;
E come Effects, ossia gli effetti positivi che derivano dalla messa in discussione delle nostre credenze negative e limitanti.
Allenarsi alla resilienza significa porsi una domanda a ogni “no” che il nostro percorso esistenziale ci presenta: “Qual è il miglior significato che posso attribuire a quanto sta accadendo?”. Una valida risposta a questo interrogativo può contribuire ad attivare la forza necessaria che ci consentirà di superare le immancabili difficoltà. Ogni “no” incassato e superato andrà ad arricchire il racconto del percorso che ci avrà portato al raggiungimento di ogni nostro importante obiettivo.