In un mondo che crede a un'unica vocazione per ciascuno, non vergogniamoci di essere Multipotenziali
Cosa volevate fare da piccoli? Io volevo fare il paleontologo per il semplice fatto che amavo i dinosauri, li amavo così tanto che li volevo studiare, volevo scavarne le ossa e se possibile esporli in museo.
Fare il paleontologo mi sembrava il modo migliore per unire tutte le cose che mi piacevano fare da ragazzino: girare il mondo, guardare un dinosauro, scavare sdraiato per terra. Crescendo l’amore per i dinosauri è rimasto, ma la risposta alla domanda: cosa vuoi fare da grande? si è fatta sempre meno chiara.
Volevo studiare lingue, volevo scrivere, mi sarebbe piaciuto lavorare nel mondo della pubblicità, o magari del giornalismo, magari scrivere un libro, o un programma tv. Le idee si accumulavano, la voglia di farle tutte anche e con essa la voglia di studiare nuove cose: come nasce un film? Come si scrive un videogioco? Quali sono le basi di un romanzo?
Nel frattempo anche gli interessi si accumulavano, ma in maniera strana, mi piacevano un sacco di gruppi musicali, film, storie, ma nessuna primeggiava sulle altre. Non sono mai stato fan sfegatato di una cosa, perché mi piacevano troppe cose allo stesso livello.
Questo non so se fa di me una persona multipotenziale, ma con le persone multipotenziali di sicuro ho alcuni punti in comune:
- Non voglio fare una cosa sola, non voglio solo vivere scrivendo. Vorrei imparare a disegnare, vorrei pensare una sceneggiatura e contemporaneamente imparare a montare video.
- Quando vedo che una cosa la so fare perdo un po’ di interesse.
- Penso sempre di perdermi qualcosa. Il tempo passa e il mio disegno non ho migliorato, perché ero impegnato a leggere un libro sulla storia del cinema che però mi ha distratto da quello sulla sceneggiatura, aiuto.
Non so se tutto ciò mi renda una persona confusa o multipontenziale, di sicuro non sono così convinto che la vocazione unica sia l’unica vocazione a cui dobbiamo puntare. Soprattutto oggi, in cui le mutate condizioni della società ci vogliono flessibili, indipendenti e pronti a fare qualcosa che fino al giorno prima non pensavamo di fare.
Gestire questo tipo di schema mentale non è sempre facile in un mondo che ci vuole tutti orientati verso l’unica grande vocazione, ma volendo ci sono alcuni approcci che possono permetterci di bilanciare lavoro, ispirazioni, aspirazioni e bisogno di sopravvivere alla routine.
- L’approccio “ad abbraccio”: In questo caso il nostro lavoro e il nostro modo di vedere le cose coincidono, perché siamo riusciti a creare una professione che ci permette di spaziare tra molti ambiti, senza fermarci mai, nutrendo la nostra voglia di cambiamento.
- L’approccio a compartimenti stagni: Per conservare il bisogno di novità abbiamo più lavori di grandezze differenti completamente diversi tra di loro che ci permettono di vivere e di fare più cose, la bravura qua sta nel bilanciare gli impegni.
- L’approccio “punto fermo”: In questo caso abbiamo un lavoro stabile, che magari ci piace anche relativamente poco, ma che ci lascia sufficiente tempo e energia mentale per portare avanti le nostre passioni, anche quelle poco redditizie.
- L’approccio “bruciare i ponti”: Forse quello più difficile, ma usato da molte persone che vivono nel mondo delle grandi aziende. Qua si tratta di concentrarsi per due o tre anni in un singolo impiego, per poi andarsene da un’altra parte e ripetere il processo. In questo modo le energie non si disperdono in più incarichi, ma si conserva la varietà.