Diventa ciò che sei. Impara a rispondere: "Non dirmi cosa posso e non posso fare"
Nel dizionario della lingua italiana alla parola “autodeterminazione” corrisponde una lapidaria definizione: facoltà di operare scelte autonome. Punto. Troppo poco per un concetto così forte. L’autodeterminazione merita più di cinque semplici parole, ecco perché, per sanare questo debito, apro questo articolo con una citazione tratta da una celebre serie televisiva: Lost. Una citazione che nella mia testa trova forti assonanze con la parola “autodeterminazione”.
È John Locke a parlare: “Hey, hey, non se ne vada, aspetti, lei non sa con chi ha a che fare. Non dica più che non posso farcela. Questo è destino, questo è il mio destino. Io devo esserci maledizione. Non ditemi che non lo posso fare.”
A favore di chi non avesse visto la bellissima serie televisiva statunitense ricordo che John Locke (uno dei miei personaggi preferiti) è un uomo sulla cinquantina costretto sulla sedia a rotelle dopo un brutto incidente, ma che per una serie di vicissitudini trasformerà la sua vita in una grande avventura.
Questo è il mio destino. Non ditemi che non lo posso fare.
Ecco, se potessi, metterei questa come definizione della parola autodeterminazione sul dizionario della lingua italiana.
Vent’anni fa, nella mia casa da studente che condividevo con altri 3 amici, avevo appeso in cucina la pagina di una pubblicità strappata da un quotidiano, in cui si vedeva un uomo magrissimo, su di una canoa, ripreso di schiena, con una pagaia in mano. Sotto quella immagine in bianco e nero campeggiava una frase che mi piaceva (e mi piace ancora) molto: “Diventa quello che sei.”
Provare a diventare quello che si è destinati a diventare, annusare, intuire il proprio destino e poi inseguirlo con tutte le forze che si hanno in corpo, contro tutti e contro tutto, questo è autodeterminazione.
Ho sempre guardato a questo atteggiamento con grande rispetto, a molti potrà sembrare presunzione (il confine tra questi due atteggiamenti è davvero sottile), ma mentre l’arroganza insita nella presunzione nasconde una certa pigrizia nel capire e nell’ascoltare, l’autodeterminazione è un atteggiamento sano che obbliga all’umiltà, all’ascolto di se stessi e delle proprie relazioni con gli altri e il mondo. L’autodeterminazione prevede grande disciplina e una forte dose di caparbietà. Scoprire i propri unici talenti, diventare ciò che si è non è facile, perché non ci sono strade tracciate, nessun maestro ti può portare dove solo tu puoi arrivare. E così molto spesso si percorrono strade in solitaria, senza riferimenti e con la paura di aver sbagliato. Non lo si fa solo per se, infatti solo chi intraprende questa strada, anche senza arrivare alla fine (che forse non esiste nemmeno), può regalare visioni del mondo uniche e originali, come il proprio percorso.
Tutto questo, naturalmente, vale anche nel mondo del lavoro e del business. Oggi, sempre di più, le aziende sane e soprattutto quelle che vogliono rimanere tali hanno bisogno di un ambiente e di un ecosistema ricco e differenziato. Il Novecento ha insistito e promosso l’uniformità di vedute e l’omologazione aziendale, come asset per migliorare le performance, ma credo che le nuove e complesse sfide del XXI Secolo e soprattutto le continue sollecitazioni al cambiamento e alla trasformazione richiederanno più visioni e maggior biodiversità all’interno dei gruppi di lavoro. Per questo motivo saranno sempre più utili e ricercate quelle persone con sguardi originali e attitudine all’autodeterminazione che, come John Locke, cercano il loro destino attraverso il proprio lavoro.