La creatività è un campo da gioco, ma è anche un campo di battaglia
Ci sono nato, “creativo”. Non tornerei mai indietro.
Volevo scrivere e fare libri: missione compiuta.
Volevo fare – ed entrare in contatto con chi fa – idee, progetti, visioni: missione compiuta.
Volevo muovermi liberamente, senza vincoli, senza limiti: missione compiuta.
Bello? No, fantastico: basta sapere che i prezzi da pagare sono proporzionali al privilegio che ti ritrovi.
Basta sapere che essere “creativo” è un dono, ma anche un lavoro molto duro.
Basta sapere che più un talento ti sgorga dalla punta delle dita, più hai grandi responsabilità.
Basta sapere che più sei davvero “creativo”, più devi tenerti alla larga – neanche il minimo contatto – dalla retorica della creatività.
Se c’è una cosa che mi fa detestare tanti “creativi” – uso le virgolette perché la parola è tanto bellissima quanto malamente abusata – è proprio una certa aura di anticonformismo ostentato, di bizzarria a ogni costo, di autocompiaciuta devianza. No, accidenti: gli anticonformisti e gli stravaganti sono noiosi quanto – se non di più – i conformisti e i “normali”. Chi pensa che il talento creativo sia una sorta di lasciapassare per saltare la fila ed ergersi al di sopra degli altri umani “non creativi” si macchia del peggiore dei torti verso la creatività. Perché essere creativi non riguarda semplicemente l’arte, la musica, il cinema, la scrittura, il design, la comunicazione e tutte le altre cose affini: essere creativi riguarda l’esistenza intera, la propria attitudine, la propria relazione con il mondo.
Per essere creativi nel senso più pieno non è necessario saper creare opere: a essere pienamente creativo è innanzitutto chi cresce ottimi figli, chi sa costruire e reinventare relazioni sentimentali, chi mette intensità e slanci e inventiva in tutta quanta la propria vita.
Avete presente il proverbiale simbolo del Tao? Ecco, anche nell’affascinante campo bianco dell’esistenza creativa ci sono gocce nere. Ho sentito dire tante volte che il creativo è quello che viene pagato per fare cose che farebbe anche gratis: è così, certo, perché –se lasciamo da parte i wannabe in cerca delle gratificazioni sociali di cui godono i “creativi”- a spingerti è una passione bruciante, è la voglia irresistibile di mettere al mondo qualcosa di profondamente tuo. Solo che ogni tanto – tutt’altro che infrequente – succede che qualcuno prende così sul serio il fatto che quello che ti appassiona tu lo faresti anche gratis, che proprio non ti paga (o ti paga pochissimo e tardissimo). Se nonostante questo la vita del freelance creativo continua ad attrarti, sappi anche però che questo non è un lavoro da cui avrai mai tempo libero: i progetti, le idee, le cose che vuoi creare, non li puoi mai chiudere fuori dalla porta alla sera, non li lasci a casa mentre tu vai in vacanza. Sono parte di te, nel bene e nel male.
La creatività non è una gabbia dorata: è un campo di gioco e al tempo stesso un campo di battaglia. Conosco tanti meravigliosi e famosi architetti, scrittori, comunicatori, designer, e così via: ognuno di loro percepisce quello che fa come una gioia incommensurabile e insieme come un impegno duro. Ecco, è proprio per questo, per questa inestricabile combinazione fra grandi visioni e rocciosa responsabilità, che i “creativi” – lasciatemelo dire meglio: chi fa, costruisce, inventa, mette al mondo qualcosa che prima non c’era o migliora quello che c’era già, chi sta sulla frontiera per espanderla – sono il vero, grande prototipo evolutivo, il modello di un rapporto con la vita che anche chi non è e non si considera creativo in senso stretto dovrebbe adottare.