Nessuno nasce cattivo capo, ma ecco 4 ragioni per cui molti lo diventano
Tanto è stato scritto sulle differenze tra buono e cattivo capo, migliaia sono le liste di cose “da fare” e “da non fare” per essere un buon capo, ma ancora il problema persiste. È lo stesso problema che abbiamo per altre sfide nella nostra vita: sappiamo che dovremmo mangiare più sano, ma poi non lo facciamo.
La “lista” sul capo buono non serve a niente, se prima non viene esplorato il motore delle nostre azioni, che si trasformano in abitudini e che, come avrai sperimentato, sono molto difficili da cambiare. L’analisi di questo motore deve essere alla base di qualsiasi intervento di cambiamento in azienda, per singoli individui o per un’intera organizzazione ed è la ragione per cui quasi l’80% degli interventi di change management non funziona: la motivazione. Le nostre abitudini mentali e comportamentali si basano su un incentivo ad agire, che viene chiamato “ricompensa”. Se vuoi migliorare un comportamento o un processo, prima devi fare emergere le reali motivazioni di comportamenti inefficaci.
Lo stesso succede per una persona che diventa un capo.
Nessuno nasce cattivo capo: ma molti lo diventano facilmente.
Vediamo alcune delle principali motivazioni che spingono una persona a diventare un “cattivo capo” e qualche azione per creare incentivi a diventare invece un “buon capo”:
- Continuare a vedersi come “io”
Nessuno nasce capo, né al lavoro né nella vita. A scuola ci abituiamo a studiare da soli, a passare gli esami da soli, a laurearci da soli e anche nei nostri primi lavori siamo noi a gestire la nostra agenda. Quando una persona diventa un capo, tende a mantenere le stesse abitudini – non riesce a delegare, pretende che tutti lavorino con il suo stesso stile – perché non ne ha mai visti altri – non sa comunicare obiettivi e condividere strategie e progetti. È normale: la persona conosce un solo modo di lavorare e continuerà ad usare quello. Per questo è importante che la persona dimentichi l’”io” e passi al “noi”: ad esempio esplorando le modalità di lavoro dei suoi collaboratori, guardando quello che funziona e quello che non funziona e comunicando il suo stile e la sua modalità per costruire insieme dei processi di team adeguati, in cui il capo è solo una guida. In questo modo tutti remano nella stessa direzione, facendo leva sul meglio di ognuno. - Non sapere gestire la responsabilità
Quando diventi capo, sei tu il responsabile. Chi non è in grado di gestire la pressione della responsabilità crea una frattura “io/loro” in cui dice: “sono loro che non mi permettono di portare a termine i nostri obiettivi.” Così si crea una continua tensione tra capo/responsabile e collaboratore, che presto portano a scatti d’ira, nervosismo e stress continuo. Il capo ha la responsabilità della gestione del processo, che quindi viene anche condivisa con il team. Un buon capo – o forse leader – sa condividere parte della responsabilità degli obiettivi di reparto e sa usare questa responsabilità per creare engagement e motivare. Una volta che hai chiarito gli obiettivi, condiviso con le persone la modalità per raggiungerli (e non ordinato loro cosa fare), e festeggiato i successi, discutendo i problemi insieme (senza puntare il dito verso qualcuno), le persone si sentiranno parte dell’obiettivo e il team sarà coeso. - Non sapere gestire le relazioni
Le persone sono un insieme complesso di desideri, paure, insicurezze, motivazioni, emozioni, valori e molto altro. Quando diventi un capo, devi diventare un maestro di gestione delle relazioni – in Intelligenza Emotiva, si chiamano competenze interpersonali e comprendono empatia, comunicazione, gestione del conflitto e tanto altro. In questo caso il capo deve allenare la sua Intelligenza Emotiva e comprendere un fatto fondamentale: le persone sono diverse, non saranno mai perfette, e soprattutto non le puoi controllare, anche se sei il capo. Per cui sii empatico, – accetta la diversità e impara a gestirla – comprendi gli errori – li commetti anche tu e se punisci un errore, creerai una cultura basata sulla paura, – e allenati a gestire bene le relazioni, l’unica cosa sotto il tuo controllo. - Non sapere fare domande
Il capo “ordina” e “dice cosa fare.” Vero? Non sempre. Anzi, quasi mai, se vuole essere un buon capo. Il capo ordina quando bisogna prendere una decisione velocemente, oppure quando non c’è accordo nel team, quando deve mostrare la direzione che alcuni collaboratori ancora non possono comprendere o quando c’è da prendere una decisione impopolare. Ma qualsiasi buon capo deve essere anche un bravo Coach – una persona in grado di fare domande ai suoi collaboratori per comprendere motivazioni, paure, difficoltà, soluzioni, stili di lavoro, obiettivi e molto altro. Il “cattivo capo” interpreta il suo ruolo come “dispensatore di ordini e punizioni”: ma la cosa peggiore che puoi fare alle tue persone è trattarle come bambini. Un adulto ama essere ingaggiato, compreso, ama discutere e dare la propria opinione: inoltre ha strategie migliori di te per il suo lavoro – proprio perché è suo e non tuo – e quindi costringerlo ad agire in modo diverso e magari più inefficiente solo perché tu sei il capo è la strada migliore per creare demotivazione e frustrazione.
Prima di dare liste su come deve essere una persona, quindi, chiediti “perché” una persona – forse un tuo collega? – è diventata un cattivo capo. Quali sono le motivazioni e cosa la incentiva a continuare in questo modo? Tranne pochi soggetti (sociopatici e company), la maggior parte di noi sta bene in relazioni sane e senza stress – il cattivo capo quindi è la prima vittima della sua incapacità di essere un buon leader. Nessuno quindi vuole essere un cattivo capo: ma molti credono che sia l’unica strada possibile e sono quindi motivati a continuare a mantenere gli stessi comportamenti.