Ti senti inadeguato, ma è tempo di capire che il problema non sei tu
Lavorare è sempre più difficile. È difficile trovare un posto di lavoro, è difficile mantenerlo, è difficile portare avanti mansioni e compiti sempre più complessi, in tempi sempre più brevi e per clienti sempre più esigenti, ma spesso con le idee poco chiare o volubili.
Capita allora di sentirsi inadeguati, talvolta. Di sentire che quello che facciamo, che sappiamo e che possiamo dare non è sufficiente o non è davvero in grado di funzionare a dovere. Tranquillo, capita a tutti e a chi non capita è perché mente a se stesso e agli altri.
Ti senti inadeguato? Il problema non sei tu in particolare. Non sono in assoluto o soltanto le tue competenze, non è il tempo che dedichi alla formazione e all’aggiornamento, non è la tua professionalità e neanche la tua capacità di lavorare in azienda, in team o da solo.
Non è soltanto colpa tua, ma non cercare mai di scaricare le colpe sugli altri, però. Sull’azienda in cui lavori, sui tuoi colleghi o collaboratori, sull’ambiente, sulla società o sul sistema. Gli altri sono come te, hanno le tue stesse colpe e i tuoi stessi meriti. Il mondo faceva già schifo prima di adesso e non c’è davvero nulla che renda la tua situazione peggiore di quella di tuo padre, di tuo nonno o di uno qualsiasi dei tuoi antenati, andassimo anche indietro migliaia o milioni di anni. Anzi, se ci pensi bene, nessuno di loro ha avuto le tue opportunità e i tuoi mezzi e non c’è stata nessuna epoca, nel corso della storia, in cui fosse facile come adesso, lanciarti in un lavoro o in un progetto. Il problema è che questa semplicità, in cui tutti noi oggi viviamo, è terribilmente complessa, e ti fa paura. E non è solamente complessa; è anche maledettamente veloce e non ti lascia il tempo di pensare, di riflettere, di pianificare.
Ci sentiamo inadeguati, tutti, e per quanto possiamo aver studiato, esserci preparati, aggiornarci e mettercela tutta, saremo sempre almeno un passo indietro a quel futuro che scalpita appena fuori dalla porta. Un futuro che le nostre tecnologie stanno avvicinando ogni giorno un po’ e che ci sta scappando di mano, tanto che presto non avremo letteralmente più il tempo di abituarci a una qualche nuova tecnologia che essa sarà già qualche passo avanti, fregandoci sul tempo e lasciandoci sul posto, a sbuffare di frustrazione.
Non sei tu il problema, impara a crederci. La sola colpa che hai è quella di non riuscire ad accettare questo stato di cose e di non avere l’approccio giusto, facendo vorticosamente il pendolo tra un pericoloso “non valgo niente, non sono all’altezza” e un ancora peggiore “nel mio campo sono il padreterno, io, e non c’è nessuno che ne sa quanto me“.
Hai torto in entrambi i casi, ma c’è una pessima notizia: sarai sempre e comunque in torto, qualunque sarà la tua percezione, perché di fronte a te non c’è una situazione statica, come hanno fatto credere alle generazioni passate, ma un mondo dinamico e in continuo spostamento in cui nessuno è destinato a essere per sempre ciò che è ora.
Il cameriere che oggi ti serve il cocktail sul terrazzo più figo della città, tra qualche anno potrebbe essere il CEO di una startup che ha trovato la strada giusta e che si trasforma da bruco in farfalla. Allo stesso modo, lo studentello idiota che oggi ti taglia la strada con il motorino e alza il dito quando gli strombazzi contro, domani potrebbe essere un luminare o un manager di chissà quale azienda in giro per il mondo. Oggi non c’è davvero più nessun limite alle opportunità e ai cambiamenti. Se credi di essere Dio in terra o l’ultimo degli sfigati il problema è soltanto il tuo approccio.
È su questo che devi lavorare: il tuo approccio. Vale per tutto, nella vita, ma sul lavoro ancora di più. Per far funzionare le cose occorre maturare nel tempo un approccio basato su:
- consapevolezza, per guardare in faccia la realtà senza illusioni e senza paure, evitando proattivamente di cadere ogni volta dal pero e cercando di prevenire, piuttosto che curare o, peggio, brancolare nel buio;
- equilibrio, per evitare di cadere in depressione o di esaltarsi senza motivo, i due estremi che caratterizzano la vita lavorativa (e non solo) di un numero di persone sempre più alto;
- positività, per guardare le cose sotto la luce del sole, invece che nelle tenebre della notte, dove forme, dimensioni e colori sono sempre distorti.
L’approccio fa la differenza, sempre. Quello giusto ci consente di guardare le cose a testa alta e di essere sempre certi della sola cosa di cui si può esserlo: “Ho fatto le cose nel migliore dei modi possibili (che non necessariamente è quello giusto), mettendoci dentro tutte le mie competenze, tutta la mia attenzione e dedizione”. Se questo non è sufficiente la colpa non è soltanto tua (in alcuni casi non lo è affatto), ma c’è un altro importante tassello: essere nel giusto significa farsi sempre carico della propria parte di responsabilità ed essere disponibili a trovare una soluzione insieme agli altri (colleghi, collaboratori, cliente) per ottenere risultati migliori in futuro. Il punto, infatti, non è chiedere scusa, né tanto meno accampare scuse o cercare giustificazioni. Il punto è non fare la vittima e non cercare scappatoie, ma affrontare sempre la situazione in modo responsabile, per crescere, per migliorare e per non sentirti mai più inadeguato.