La volontà smuove le montagne: impariamo a canalizzarla (senza disperderla)
Nel mondo osserviamo l’azione: tutto è agito, concreto, tangibile. Ma l’azione non è altro che la manifestazione di qualcosa di più profondo e ineffabile: la volontà.
La volontà ha generato imperi, distrutto civiltà, costruito meraviglie, superato limiti (l’elenco potrebbe essere infinito). Insomma la volontà è qualcosa che muove le cose del mondo, è espressione della nostra libertà, di noi stessi, e rispecchia la ricerca di senso connaturata all’essere umano.
Jack (nome di fantasia) è un impiegato di una prestigiosa multinazionale, presente in 42 paesi in tutto il mondo. Jack è una persona dall’animo buono, ama la propria famiglia e farebbe di tutto per non far mancare nulla ai suoi figli; per questo Jack si impegna molto nel suo lavoro, cerca di dare il meglio di sé per cercare un piccolo avanzamento di carriera o magari un aumento. Jack se può aiuta tutti, non manca di dare il proprio contributo alla Onlus contro la povertà e ha anche a cuore il destino dei bambini africani, malati e bisognosi.
Jack però al lavoro deve accettare alcuni compromessi, lavorare molto per aumentare il fatturato, ridurre i costi, portare profitto. È il suo capo che lo richiede, e non si discute; Jack è bravo se porta i risultati. Numeri, meravigliosi numeri. Al suo capo viene richiesto tutto ciò dal suo superiore e così via fino ad arrivare ai dirigenti, all’amministratore delegato. L’amministratore delegato è scelto perché è il più bravo a portare i risultati che il cda vuole, che gli azionisti vogliono. Chi detiene la forza economica esprime volontà.
Jack è infelice perché in cuor suo sa che quello che fa al lavoro va contro i suoi valori. Che sta remando per alimentare una ricchezza illimitata di qualcuno, e basta. Ma Jack ha anche acquistato alcune azioni della sua azienda, è lui stesso titolare di una piccola parte di gioco, è lui stesso detentore di una piccola quota di volontà. Non se ne rende conto ma è lui stesso causa del suo malessere, perché è attore di un meccanismo che si autoalimenta, verso un’utopica ricchezza infinita.
Jack è confuso e non capisce se ciò che sta facendo sia giusto o no, se sta alimentando inconsapevolmente qualcosa di contrario ai suoi valori.
Bill è un uomo ricco, molto ricco, uno di quelli che nelle statistiche risulta ricco come decine di milioni di persone. Bill è diventato ricco perché è stato il più bravo a inventare e commercializzare un aggeggio che usa tutto il mondo; ci ha dato dentro con il lavoro, senza mai esitare. Tanto di cappello, una storia straordinaria. Ma ora che Bill ha 60 anni non sa cosa farsene di tanta ricchezza. Potrebbe far vivere di rendita migliaia di pronipoti (viziati) per secoli, in un’opulenza irreale. Ma per Bill il denaro accumulato è irrisorio rispetto alla ricerca di senso. Allora ha creato una fondazione filantropica e cerca di darsi da fare per migliorare il mondo. È questa la volontà di Bill.
Jack e Bill hanno la stessa volontà, migliorare il mondo ma entrambi, a proprio modo, forse lo peggiorano senza volerlo.
Un gioco che si fa da bambini forse ci spiega bene quello che succede. Si chiama ‘telefono senza fili’, il primo dice una parola nell’orecchio all’altro e così via fino all’ultimo, in cui la parola che arriva è tutt’altro.
Accade proprio questo, la volontà si disperde in ogni passaggio, si annacqua, si contamina.
Inoltre la volontà nasce da noi, esseri umani fatti di carne e ossa, rappresentanti straordinari di contraddizioni, di sfere inconsce, di complessità. La volontà intima è come una roulette, a volte esce il rosso, ed è quindi una volontà positiva, figlia di una pulsione vitale; a volte esce il nero, e prevale la pulsione distruttiva e nefasta. Tutto ruota attorno alla volontà ma pochissimo ci si interroga su come consentire alla volontà positiva di esprimersi e come impedire a quella negativa di fare danni. E mai ci si interroga su come creare le condizioni di espressione di tale volontà: con pochi passaggi, semplici e diretti, riportando il filo tra i telefoni.