Impariamo l'arte della persuasione: ci tornerà utile soprattutto nel lavoro
Il nostro lavoro è sempre meno un lavoro di esecuzione meccanica e ripetitiva e sempre più un lavoro di relazione.
Il commesso come il manager, l’artigiano come il notaio si fanno aiutare dai software e dalla tecnologia per gestire la routine, e si dedicano sempre di più alla relazione con clienti e collaboratori. Il baricentro delle abilità professionali si sposta inesorabilmente nel territorio delle competenze comunicative: orientare il comportamento delle persone intorno a noi, influenzarle, spingerle in una determinata direzione. Per riassumere tutto questo esiste una parola chiave: persuasione. Ecco la quintessenza delle soft skill.
Nel mondo del lavoro del terzo millennio dovremmo essere tutti degli abilissimi persuasori e purtroppo non lo siamo. Le aziende pullulano di venditori mediocri, di imprenditori che non sanno interagire con i propri collaboratori, di manager che negoziano come bambini capricciosi, di “addetti alle relazioni con il pubblico” che fanno infuriare i loro interlocutori.
Non è un caso. Nella nostra cultura la parola persuasione ha un’accezione negativa, profuma di imbroglio, di manipolazione, di vecchietta presa in giro allo sportello della banca. Per questo motivo i meccanismi di persuasione non vengono studiati, non ci si allena e non si apprezza il valore etico e intellettuale di un “bravo persuasore”. E pensare che paradossalmente in Italia come eredi della Magna Grecia e della cultura classica dovremmo avere nel nostro DNA una fortissima sensibilità nei confronti dell’arte della retorica, intesa come “saper dire bene le cose”. Invece finiamo con il dover approfondire questi temi studiando su testi americani o nordeuropei.
Sintomatico di questo deficit il fatto che i nostri giovani scoprano quando vanno a studiare all’estero che i loro colleghi di mezzo mondo si esercitano sistematicamente a prendere la parola in pubblico e a difendere una tesi, dedicandosi di fatto in modo scientifico allo studio della comunicazione persuasiva.
I risultati poi si vedono e si toccano con mano. Se siamo i peggiori d’Europa in tema di produttività del lavoro è probabilmente anche per questo motivo. Ecco 4 riflessioni sincere per affrontare in modo costruttivo il tema della comunicazione persuasiva nei luoghi di lavoro:
1) Persuasione dal punto di vista etimologico deriva dalla parola latina suavis. Sostanzialmente significa “rendere soave, addolcire”. E’ quello che facciamo tutti i giorni, spesso con le persone che più amiamo, spesso per finalità nobilissime. Proviamo a orientare il loro comportamento, a offrire prospettive e punti di vista nuovi. Il problema etico legato alla persuasione non è quindi un problema di strumento, ma di finalità. Persuadere mia madre a smettere di fumare è una cosa bellissima. Persuadere una vecchietta analfabeta a sottoscrivere prodotti finanziari derivati è criminale.
2) Imparare a persuadere gli altri significa guadagnare sicurezza e autostima. Spesso infatti ci trinceriamo dietro il “persuadere significa manipolare” perché non ci sentiamo sicuri, perché temiamo il confronto con gli altri, temiamo di essere respinti. Imparare qualche tecnica di comunicazione efficace (i nostri padri della Magna Grecia la chiamavano retorica) può essere di grande aiuto per chi non ama “buttarsi”.
3) Conoscere bene le dinamiche della persuasione significa conoscere bene le dinamiche dei processi decisionali delle persone. Di conseguenza imparare a essere più persuasivi significa migliorare anche la qualità delle proprie decisioni. Detta in altri termini conoscere l’arte della persuasione significa difendersi meglio dai “persuasori cattivi”.
4) Un primo suggerimento per cominciare ad allenarsi: tutti noi ogni giorno abbiamo qualcuno da persuadere a fare qualcosa, un cliente, un collega, un collaboratore. Qualcuno che regolarmente ci farà delle obiezioni, ci porrà dei problemi. Prepariamoci ad affrontarlo recitando la sua parte, imitandolo, proprio come se fossimo degli attori. Quando parlerà davvero lo ascolteremo in modo più complice, saremo meno nervosi e aggressivi e quindi molto più efficaci nel presentargli il nostro punto di vista.