5 tipologie di pessimi capi e 5 consigli per sopravvivere quando lavorare diventa complicato
Sarà l’estate ma spesso con lo stress accumulato durante l’anno, il caldo che ci appesantisce e il miraggio delle vacanze dietro l’angolo, diventiamo tutti un po’ più intolleranti. Quindi capita che ci si possa infuriare con i colleghi o i superiori per alcune inezie. Può succedere a tutti e spesso si dimentica in fretta. Ma come fare invece quando i malumori e le difficoltà sono ormai costanti? Quando, ad esempio, si ha a che fare con dei capi problematici?
Nel 2011 era uscito un film demenziale intitolato Come ammazzare il capo… e vivere felici, con protagonisti Jennifer Aniston, Kevin Spacey e Colin Farrell nei panni di boss non proprio facili da sopportare. I loro sottoposti, quindi, pianificavano in vario modo di farli fuori per liberarsi da un peso divenuto ormai quotidiano e intollerabile. Ecco, iniziamo già col chiarire una cosa: questo non è l’approccio giusto per affrontare il problema, lasciamolo alle commedie cinematografiche.
Meglio, invece, è analizzare per bene la questione, mettendo bene in chiaro, in primo luogo a noi stessi, quali sono le cose che non funzionano sul luogo di lavoro. A volte si tratta di problemi personali, di nostri stessi preconcetti, o di delusioni che trasformiamo in frustrazione e quindi in rabbia nei confronti di chi accusiamo di non averci valutato abbastanza. In altri casi, ovviamente, si tratta invece di comportamenti concretamente scorretti da parte di chi dovrebbe farci da leader, fino ad arrivare a situazioni estremamente gravi e perseguibili come il mobbing.
Ma concentriamoci nel nostro caso in quella fascia intermedia in cui gli eccessi o le inadempienze di capi problematici causano disturbo prolungato alla nostra regolare attività. Possono essere tantissime le caratteristiche di una persona che la potrebbero classificare come un “cattivo capo”: la mancanza di empatia, l’eccesso di rigore, il fissare degli obiettivi irrealistici, la faciloneria o l’impreparazione ecc. Sono tutti aspetti che purtroppo ricadono a ruota sul lavoro di tutti, e spesso producono risultati negativi che si ripercuotono però sui sottoposti e non sui veri responsabili.
Basta dunque lamentarci o far presente le nostre rimostranze? Nel migliore dei mondi possibili forse sì, ma in realtà la difficile relazione con dei superiori complicati deve essere negativizzata il tanto che basta per farci riconoscere il problema e per spingerlo a risolverlo. Un buon pragmatismo, infatti, ci spinge a dire: c’è un problema, è impossibile da rimuovere ma almeno proviamo ad arginarlo o ad attenuarlo in qualche modo.
Vediamo quali sono i casi più comuni (e fastidiosi) di capi problematici e come venirne a capo senza compromettere delle giuste ed equilibrate relazioni professionali:
- Il capo egoriferito
Ci sono alcune persone che riferiscono qualsiasi azione, loro o dei sottoposti, a sé stessi e al proprio ego. Finiscono così per sminuire continuamente gli altri e, cosa ancora peggiore, appropriarsi di idee e meriti altrui. Fatevi più scaltri di loro: presentate progetti e proposte in modo da attribuire già voi stessi parte del merito a loro, soddisfacendo così la loro vanità ipertrofica, ma anche rendendo inequivocabile che quelle stesse idee non sarebbero venute a galla senza la vostra matrice. - Il capo con mania del controllo
In inglese li chiamano “micromanager”, coloro ciò che vorrebbero gestire fino all’ultimo dettaglio ogni progetto, appesantendo le competenze altrui e facendo avvertire una costante mancanza di fiducia. Anche in questo caso il segreto è trovare un modo di rassicurarli preventivamente: chiedete il loro parere in anticipo, fate loro domande (anche se conoscete già le risposte) in modo da tranquillizzarli e farli sentire al contempo partecipi dell’iter produttivo. - Il capo automa
Esistono alcuni tipi di professionisti talmente inquadrati che sembrano lasciar poco spazio a ciò che non sia strettamente legato al lavoro, come qualsiasi tipo di rapporto interpersonale. Voi sarete sempre e solo un numero, con un determinato compito e certi obiettivi da raggiungere. Da una parte rispondete a questo atteggiamento ripagando con la stessa moneta (fornite dati, ragionate per numeri e obiettivi, non fatevi trovare impreparati su richieste specifiche ecc.); dall’altra lavorate per accompagnarli fuori dalla loro asettica comfort zone: lanciate lì qualche commento più emotivo, invitateli al dialogo, rispondete a fredde email raggiungendo alla scrivania per un confronto più diretto. - Il capo senza limiti
Al contrario ci possono essere responsabili fin troppo espansivi, che trattano tutti da “amiconi”. O anche i finti tali, che predicano con le buone ma poi richiedono risultati con le cattive. O ancora: quelli che non conoscono i limiti dell’orario lavorativo, degli spazi professionali, che fanno perdere tempo in ufficio ma poi chiedono di lavorare sempre e comunque anche al di fuori dei tempi previsti. Qui ci vuole un po’ più di coraggio: sicuri dei vostri risultati e del vostro massimo impegno durante orari e modalità canonici, ribadite quali sono i giusti comportamenti e giusti confini regolati da un proficuo rapporto di lavoro. - Il capo tempesta
Ci sono quelli che non attendono le risposte, che affrettano le conclusioni, che a un minimo segnale di irritazione deflagrano in reprimende rabbiose e discussioni animate all’inverosimile. In questi frangenti la tentazione di seguirli a ruota dev’essere assolutamente evitata: essere zen, aspettare che la calma torni dopo la tempesta, essere i primi a raccogliere i cocci è l’atteggiamento più paziente e più efficace.
Questi ovviamente sono dei casi generici, astratti dalla realtà. Ognuno dovrebbe calarli nella propria situazione professionale e cercare i giusti appigli per migliorare la situazione prima che sia troppo tardi o il luogo di lavoro diventi troppo invivibile. Bisogna, a questo riguardo, ricordarsi anche che siamo tutti esseri umani, quindi anche i comportamenti più impervi potrebbero essere originati da problematiche personali o professionali camuffate in scorrettezze e cattivo carattere.
L’importante, come sempre, è dimostrarsi impegnati sul lavoro ed empatici nelle relazioni. Per finire, ecco alcune massime sintetiche, per ricordarsi che lavorare con capi problematici è davvero difficoltoso, ma che si può sopravvivere anche a questo:
- Rimanete positivi
Nonostante la avversità, pensare che le cose alla fine andranno nel verso giusto (verso coloro che si impegnano e non hanno niente da rimproverarsi cioè) aiuta sempre. - Siate pazienti
Sia nell’emettere un giudizio (spesso le prime impressioni sono più terribili della realtà effettiva) sia nell’attendere che, finalmente, i nodi vengano al pettine. Lo fanno sempre. - Siate inappuntabili
Documentate il vostro lavoro, il vostro impegno e i vostri risultati in modo che le critiche non possano superare il limite dei fatti. Carta canta, come si dice. - Vivete al di fuori
Al di fuori del mondo del lavoro, cioè, trovatevi degli spazi in cui allontanare tutto lo stress e i conflitti che si generano in ufficio, per avere uno sfogo e tornare il giorno dopo con energie fresche e mente libera. - Approfittate anche di questo
Aver a che fare con degli ossi duri, al netto della frustrazione e della rabbia, dà la possibilità di crescere e farsi la corazza. E una volta che sarete riusciti a venirne “a capo”, ne avrete guadagnato in esperienza e diplomazia.