Metti giù lo smartphone: l'unica connessione che serve è quella con il tuo cervello
Il nostro tempo soffre di un problema cronico di concentrazione. È sempre più difficile essere e restare concentrati.
È un problema trasversale, colpisce lo studente come il professionista, il lavoratore a basso reddito come il top manager. Una bella fetta di responsabilità la possiamo senz’altro attribuire alla iperconnettività. Tutti noi abbiamo una protesi digitale, con cui apriamo e chiudiamo le giornate, con cui ci trastulliamo durante le riunioni o durante le nostre sessioni di studio. Scienziati e sociologi stanno parlando molto dell’impatto che questa “vita parallela” ha sulle nostre relazioni, ma tutti noi dovremmo essere molto più consapevoli anche di come la nostra iperconnettività digitale distrugga la capacità di tenere il focus sul nostro lavoro o sul nostro studio.
Siccome in tanti avvertono il problema e me ne parlano durante delle sessioni di coaching condivido le riflessioni più significative che ho registrato finora parlando con manager e studenti:
1) Proviamo a filmarci o a farci filmare in ufficio o a casa durante una normale giornata di lavoro o di studio. Proviamo a contare quante volte in un’ora di normale attività tocchiamo lo smartphone (150 volte al giorno in media secondo alcuni studi);
2) Proviamo a pensare a quanto tempo ci vuole per rifocalizzarsi sul proprio lavoro dopo uno dei tanti “viaggi” tra app e connettività. Questa riflessione è necessaria per quantificare il tempo che perdiamo durante la giornata. Se anche ipotizzassimo 20 “viaggi digitali” al giorno per una media di 5 minuti a “viaggio” verrebbero fuori quasi 2 ore al giorno di “distrazione digitale”, l’equivalente di un mese all’anno!
3) Riflettiamo sul fatto che la gratificazione inconscia che ci fa vivere una “notifica” o un messaggino in chat ha a che fare psicologicamente e anche “chimicamente” (gli esperti parlano di stimolazione di dopamina) con le gratificazioni tipiche di dipendenze come alcool, droga, gioco;
4) Gli scienziati sembrano essere concordi nell’affermare che la “navigazione” non è utile nemmeno per prendersi una pausa. Mangiare un panino o fumare una sigaretta con smartphone alla mano non solo non aiuta il nostro cervello a ricaricarsi, ma contribuisce a “scaricarlo”.
Queste riflessioni ci fanno lo stesso effetto della scritta “nuove gravemente alla salute” di un pacchetto di sigarette:”Lo so , ma fumo lo stesso”.
Chi smette di fumare spesso comincia con un chewing-gum, un cerotto o una sigaretta elettronica. Chi vuole riappropriarsi della propria capacità di attenzione e concentrazione può cominciare a ripensare la propria quotidianità con un gesto concreto: l’acquisto di un “dumbphone”, un vecchio telefonino senza connessione e senza internet. Non è un caso che le aziende produttrici stiano riprendendo massicciamente la produzione. L’esperienza di alcuni manager e studenti che seguo mi dice di risultati incoraggianti.
Non si tratta di eliminare lo smartphone, ma di contenerne l’uso. In riunione o mentre si studia l’unica connessione che conta infatti è quella con il proprio cervello.