Non far male a nessuno o fare del bene a qualcuno? Abbandoniamo il nostro egoismo
L’evoluzione delle persone passa attraverso numerose fasi e tappe, che per ciascuno sono differenti, sia in termini di durata che di compimento. Capita così, ad esempio, che quando si parla di adolescenti ce ne sia sempre qualcuno che riteniamo essere più maturo degli altri. Ma capita anche che ci si riferisca a dei ragazzi o addirittura ad alcuni adulti indicandoli come immaturi, se non addirittura infantili. Tutto questo avviene, appunto, perché il percorso di ciascuno è assolutamente personale, costellato di episodi e di accadimenti, oltre che segnato da un percorso di crescita fisica e intellettuale, che determina una maggiore o minore velocità nel compiere la propria evoluzione.
Ciascuno cresce a modo suo, com’è di tutta evidenza, e non è neppure detto che tutti, nel corso della vita, arriveranno alla piena maturità e raggiungeranno tutte le tappe, fino a quella che si può definire come quella della “visione integrale”, in grado di discernere completamente e di vedere il tutto in cui siamo immersi come un sistema che opera in completa sinergia.
La fase più alta dell’evoluzione di un essere umano, quella in cui ci rendiamo pienamente conto di far parte di un sistema infinitamente più grande di noi, rispetto al quale dobbiamo necessariamente comprendere l’importanza del nostro ruolo e quella del ruolo di ciascuno, nessuno escluso. In questo sistema, al tempo stesso, ogni essere umano non conta nulla ed è importantissimo, è unico e come tutti gli altri; è completamente inerme e può qualsiasi cosa.
Il raggiungimento di questo livello di coscienza e di consapevolezza segna un traguardo importante, che ci permette di vedere le cose con il distacco che serve per comprendere quanto il nostro interesse personale e il nostro egoismo, che pure ci protegge e ci mantiene in vita, siano ostacoli insormontabili per il funzionamento del sistema.
Nel corso della storia, le nostre capacità ci hanno portato a essere gli animali che dominano il mondo e che vanno oltre la natura, creando una civiltà tecnologica che sempre più sembra allontanarci dalla natura stessa, le cui regole non riusciamo evidentemente ad accettare. Per fare questo, e per combattere la nostra indole individualistica, abbiamo inventato strumenti, dinamiche, leggi e sovrastrutture di ogni genere che, alla fine, ci hanno portati a rincorrere ricchezza e potere, piuttosto che a cercare una risposta alle nostre tante domande.
Siamo gli unici animali che hanno bisogno di denaro per vivere, i soli che accumulano ben oltre le loro necessità e che mettono a rischio il pianeta e la loro stessa sopravvivenza per inseguire qualcosa che trascende il benessere e che va addirittura oltre la nostra stessa natura di esseri umani. Non a caso si stanno sempre più affermando teorie transumanistiche, che tendono a portare lk’uomo verso una nuova dimensione, in cui egli sarà sempre più “ibridato” dalla tecnologia e dalle macchine.
Se guardiamo con distacco, quello che stiamo facendo, ci accorgiamo facilmente che stiamo scommettendo e puntando tutto ad un tavolo che potrebbe determinare la fine della nostra specie, se non addirittura quella del pianeta. Perché lo facciamo? Perché le nostre capacità intellettive e le tecnologie che esse hanno creato sono precoci rispetto a un livello di consapevolezza collettiva che ci permetterebbe di sfruttare in modo molto migliore le nostre doti e quanto da esse realizzato.
Non è più un bambino, il genere umano, ma il suo livello di consapevolezza, di responsabilità e di comprensione dell’essere parte di un tutto è ancora insufficiente. Sappiamo molte cose e moltissime le scopriremo nei prossimi decenni, fino a raggiungere la capacità di creare un essere umano o un animale a partire dal DNA, ma commettiamo ancora l’errore più drammatico: il nostro fine ultimo, quale che sia la sfida, resta sempre quello di convertire in denaro qualsiasi attività e qualunque impresa.
Se avessimo maturato davvero una “visione integrale”, probabilmente il denaro tornerebbe a essere uno strumento ed una metrica di misurazione degli scambi, delle imprese, dei progetti che portiamo avanti per il bene comune e per un vero progresso, sostenibile e armonico con il tutto in siamo immersi e di cui siamo parte. Un tutto di cui continuiamo ad ignorare lo scopo, la direzione, il senso profondo e la natura stessa, perennemente in bilico tra religione e scienza, tra filosofia e fisica, tra materia e spirito. Siamo parte di questo tutto ma non siamo il tutto, quindi abbiamo a malapena coscienza di noi stessi, a un livello di vaga percezione.
Come potremo mai sviluppare una visione integrale, se non sappiamo nemmeno chi e cosa siamo? C’è probabilmente una sola risposta, per questo: se davvero vogliamo iniziare ad avvicinarci al tutto, non dobbiamo accontentarci della conoscenza scientifica, che sarà sempre parziale e imperfetta, ma lasciarci alle spalle il nostro “io” e abbracciare gli altri, l’umanità, le persone che ci sono vicine e sulle quali influiscono inevitabilmente le nostre azioni e le nostre scelte.
Se vogliamo davvero crescere, in definitiva, dobbiamo iniziare a riconsiderare la nostra esistenza, le nostre priorità, le nostre aspettative e i nostri obiettivi. Non basta cercare il nostro successo, la nostra serenità, il nostro benessere e il nostro spazio vitale, perché tutto quello che diamo a noi stessi lo togliamo inevitabilmente agli altri, vicino o lontani che siano. Andare verso una visione integrale significa dunque uscire dalla logica del “se non fa male a nessuno è lecito”, per entrare in quella del “se fa bene a tutti è giusto”.
Una logica inclusiva che porterebbe il genere umano verso una nuova era e che, a differenza di quanto accaduto sin qui nella storia, rappresenta una scelta di tutti e di ciascuno, perché la rete e le nuove tecnologie ci hanno dato finalmente l’opportunità di stabilire un contatto diretto, non più mediato e influenzato dalle innumerevoli sovrastrutture che ci bloccavano nei nostri piccoli mondi personali.