Il cliente non sa cosa vuole, per questo innovare significa interpretare un'esigenza
Il cliente al centro: un mantra che risuona all’unisono in quasi tutte le aziende. Essere attenti ai bisogni, alle necessità, ai desideri e anche ai capricci dei clienti, è qualcosa che già tutte le aziende, da trenta anni a questa parte, cercano di fare. Esiste, tuttavia, un rovescio della medaglia: l’ossessione di chiedere ai clienti che cosa vogliono.
In linea generale, i clienti non sanno con precisione che cosa vogliono. In molti casi un prodotto ha successo quando l’azienda riesce ad indurre i consumatori a desiderare qualcosa che prima non desiderava, semplicemente perché non la conosceva. E probabilmente non ne sentiva la necessità.
Qui si pone una questione di fondo: l’innovazione compete ai clienti o alle aziende? Io credo che a ogni ruolo corrispondano determinati compiti e determinate responsabilità. Non possiamo richiedere ai consumatori uno sforzo di lungimiranza e innovazione. Si tratta, infatti, di qualcosa che compete a innovatori audaci che operano all’interno delle aziende. L’ossessione di chiedere ai clienti cosa vogliono può comportare il serio e concreto rischio di appiattire ed impoverire la capacità di innovare.
Nell’economia dell’iper-offerta e dell’iper-scelta, per fare realmente la differenza, occorre avere il coraggio di condurre i clienti in luoghi (concettuali, mentali e fisici) che ancora non conoscono, in cui non desideravano andare, semplicemente perché nemmeno ne conoscevano l’esistenza. I clienti possono dire ciò che amano oggi, in relazione a ciò che già esiste. Ma in genere non sono così abili nel prevedere ciò che ameranno e desidereranno domani. E, soprattutto, perché dovrebbero essere capaci di questo sforzo di previsione? In fondo, non è compito loro.
Nel 1996 Bandai, un produttore di giocattoli giapponese, lanciò con enorme e inaspettato successo il Tamagotchi. Alla domanda: “Caro cliente, senti l’esigenza di un piccolo pollo elettrico che, se non alimentato ed accudito quotidianamente, muore?”, quanti clienti avrebbero risposto affermativamente? Presumibilmente molto pochi; forse nessuno. Eppure, in breve tempo e a livello planetario, si diffuse l’isteria dei ragazzini (e non solo…) per questo “cucciolo” virtuale, da coccolare e viziare come se si trattasse di un piccolo animale vero.
Invece di chiedere ai clienti cosa vogliono, più utile può rivelarsi assumere uno “sguardo antropologico”: ossia osservare i clienti, vedere ciò che fanno, che cosa li fa arrabbiare, cosa li fa sentire frustrati, oppure cosa li rende gioiosi, come utilizzano i prodotti, cosa cercano di fare ma non vi riescono. In termini antropologici si tratta di una “osservazione partecipante”: lavorare sul campo e trascorrere del tempo tra i clienti.
Osservare i clienti significa recepire informazioni e soluzioni che regolarmente, per quanto informalmente, i clienti stessi forniscono. A tal proposito, ecco un esempio. Gli oli da cucina in barattoli spray sono stati ideati per evitare che il cibo si attacchi alla padella. È stato notato che alcuni clienti utilizzavano lo spray anche sul fondo dei loro tosaerba, per evitare che l’erba tagliata rimanesse attaccata alle lame. Ovviamente, non è necessario che lo spruzzatore contenga olio per cucina. Si tratta di una soluzione improvvisata, ma efficace. Compito dell’impresa, in questo caso, è farsi carico del problema, cogliere i suggerimenti improvvisati dai clienti, normalizzare la soluzione con un processo strutturato di innovazione, dando vita a nuove opportunità commerciali.
Non sono molte le imprese realmente focalizzate sui clienti, che hanno sviluppato un’organizzazione incentrata sul cliente. Procter & Gamble è una di queste. Al centro innovazione di P&G a Cincinnati c’è il “Villaggio del Consumatore”, dove l’azienda incontra le persone che acquistano i suoi prodotti. La replica di una corsia di un supermercato rappresenta il primo momento della verità. Si passa poi alle cucine e ai bagni, dotati di lavapiatti, lavatrici, forni e fornelli, dove il cliente può testare i prodotti. E questo rappresenta il secondo momento della verità. Il Villaggio consente ai ricercatori di P&G di osservare come i consumatori scelgono, acquistano e utilizzano i prodotti, per coglierne gli aspetti più importanti e significativi. In tal modo l’azienda mostra di essere realmente vicina alla realtà dei propri clienti.
Per innovare in maniera radicale e sostanziale è necessario saper ignorare ciò che i clienti dicono. In fondo, in qualsiasi settore i consumatori chiedono tre cose molto semplici: vogliono qualcosa di più, pagando un po’ meno, e lo vogliono subito. Soddisfare queste tre generali richieste dei clienti costituisce una buona base per affilare continuamente la lama dell’intuizione. Affidarsi a costose società di consulenza per chiedere ai clienti che cosa realmente vogliono può dare una sensazione di illusoria sicurezza. Il cui risultato, tuttavia, non è affatto certo.