Biohacking: usereste la tecnologia per "aumentare" il vostro corpo?
Se nei momenti di relax, alcuni anni fa, ero solito leggere un libro, oggi passo quel tempo a navigare online, cercando spunti di riflessione interessanti (e a volte tutt’altro che rilassanti). Durante uno di questi zapping digitali mi sono imbattuto in un video che, per l’argomento che affrontava, mi toccava molto da vicino. Si trattava di un intervento dal titolo Biohacking and the Connected Body di Hannes Sjoblad e, tra gli spunti interessanti cui accennavo sopra, uno mi ha colpito in particolar modo: possiamo dire di vivere già nell’età dei cyborg? Dove per cyborg non parliamo, ovviamente, dei protagonisti dei film di fantascienza che più amiamo, quanto piuttosto di persone che decidono di aumentare se stesse, potenziando dei limiti o sopperendo a delle disabilità. In altri termini ed essendo volutamente riduttivi: biohacking.
Caliamo la domanda in una sfera più quotidiana, cercando allo stesso tempo di darle una risposta: siete usciti di casa questa mattina presto, avete preso un mezzo pubblico, o la vostra auto, o avete passeggiato. Nel fare queste semplici cose, probabilmente, avete incontrato almeno 3 cyborg e la cosa più sorprendente è che non solo la cosa non vi ha spaventato, ma non ci avete fatto neanche caso.
Sjoblad è co-fondatore del network svedese di biohacker Bionyfiken, in cui biohacker, biologi, artisti, esperti di human enhancement, hacker cercano esplorare fino a dove si può intervenire sul corpo umano per modificarlo.
In base alla sua definizione, un biohacker è colui che applica l’etica hacker ai sistemi biologici; in questa maniera chiunque potrebbe esserlo, da chi usa le tecnologie per migliorarsi a chi la usa per controllare alcuni parametri vitali. Così un pacemaker, un impianto cocleare, una protesi oculare ne sono un esempio e in questo caso in cui si è cercato di sopperire, tramite la tecnologia, a una condizione di disabilità tramite una forte integrazione con il biologico, con il corpo dell’individuo.
Un esempio molto famoso di come il biohacking ha aiutato una persona in difficoltà è quello dello scrittore di fantascienza Frank Swain. In procinto di diventare sordo ha deciso di aumentare il proprio udito riuscendo a percepire il WiFi. Sintonizzandosi sulle relative frequenze, tramite un sensore è riuscito a captare il nome del router, la distanza e la chiave crittografica. I dati trasmessi sono stati tradotti in un segnale audio che gli permette di dare un significato a quello che percepisce.
Grazie all’interconnessione con il corpo dell’individuo, se anche questi sistemi sono stati pensati per eliminare una disabilità, con il passare del tempo hanno mostrato di essere una grande risorsa per i dati che transitano da e verso essi: una miriade di informazioni biologiche da un lato e altrettante per intervenire sul nostro corpo dall’altro. Prendiamo l’esempio delle pillole intelligenti, una tecnologia wireless capace di monitorare la reazione di un individuo ai farmaci più diffusi, così da permettere al medico di creare la giusta dose, personalizzando perfettamente la terapia. Gli stessi interventi quali una laparoscopia o una colonscopia, oggi, possono essere effettuati con un’invasività minima dotandosi di pillole intelligenti alla portata di tutti.
Ma c’è chi ha deciso si spingersi persino oltre e di far essere tutta questa miriade di informazioni un vero e proprio habitat sensoriale tramite cui intervenire sul corpo per potenziarlo. L’artista Moon Ribas ha impiantato un chip nel suo gomito che le permette di collegarsi a una rete di sensori sismografici nel mondo. Quando c’è un terremoto, questo chip vibra e lancia un allarme che la avverte.
Allo stesso modo l’azienda North Sense ha realizzato una bussola integrata nel corpo che vibra ogni qual volta si è orientati vero il Nord.
Sicuramente l’health è l’ambito dove maggiormente il biohacking può esprimersi, ma l’intera quotidianità ne può trarre beneficio. Non è raro vedere biohacker che, tramite un piccolissimo circuito NFC biocompatibile e inserito nella mano, possono interagire con tutti i sistemi per cui prima utilizzavano carte, smartphone, chiavi: pagamenti automatici, accensione della macchina, timbratura al lavoro, etc. Non solo, all’interno di questi chip è possibile contenere informazioni, quelle che spesso dimentichiamo e che sarebbe bene portarsi sempre dietro, dal gruppo sanguigno all’elenco dei nominativi da contattare in caso di emergenza.
È indubbio che nel futuro i tentativi di biohacking o, più generalmente, di interconnettere il corpo con il mondo esterno tramite e con la tecnologia saranno sempre più diffusi. La domanda con cui ci troveremo spesso ad avere a che fare è, quindi, quanto siamo d’accordo nell’utilizzare la tecnologia, di cui il biohacking è un prodotto, per migliorare il nostro corpo e, in alcuni casi, per sopperire a delle problematiche.
Uno studio da parte del Pew Research dimostra come gli americani sono più spaventati che eccitati da quelle che sono le possibilità del biohacking e, in generale, del potenziamento umano e come molti di loro non avrebbero alcun interesse a intervenire con il biohacking, l’ingegneria genetica e le nuove tecnologie per migliorare la propria condizione.
Come per ogni passo avanti dell’uomo quindi, è importante non allontanarsi mai da quel delicato equilibrio su cui si è sempre basata l’evoluzione umana, un equilibrio generato da chi è promotore di queste tecnologie e chi è più restio, in maniera da trovarne una media che ci fa comunque procedere, ma con la giusta cautela.
Un tentativo, tuttavia, più sicuro e che potete fare già da domani mattina c’è: quanti cyborg incontrerete andando al lavoro?