Servizi come Netflix o Spotify migliorano la qualità della nostra vita?
Netflix è entrata nelle nostre vite modificando radicalmente il modo in cui accediamo a contenuti video che, prima, erano disponibili o in tv o al cinema e, in ogni caso, dietro il pagamento di una certa cifra (che si trattasse dell’abbonamento mensile alla tv via cavo, al biglietto o al cofanetto Blu-ray con gli episodi della nostra serie preferita) e che ora è diventato immensamente più facile avere a disposizione. I numeri, a ottobre 2016, parlano di una comunità mondiale di circa 87 milioni di persone, 34 milioni dei quali proviene da fuori Stati Uniti, con tassi di crescita davvero importanti di anno in anno.
Netflix non è soltanto una piattaforma di accesso a contenuti video: è uno strumento che cambia le abitudini di consumo in modo radicale. La facilità di accesso a questi stessi contenuti può avere, infatti, e sicuramente ha già, conseguenze su alcuni nostri tradizionali modi di divertirci: la serata al cinema con pizza annessa, per non fare che un esempio.
Netflix, inoltre, costa molto meno di un abbonamento a una televisione via cavo: non la sostituisce (o meglio, non ancora), ma genera senz’altro pressioni pure sulla domanda di quel tipo di intrattenimento. E i numeri stanno lì a confermarlo. Nel 2014, l’88% delle persone abbonate a Netflix pagava anche un abbonamento tv: due anni dopo, la cifra è già scesa all’80%.
Naturalmente, il tempo sottratto alla tv è anche tempo sottratto alla pubblicità: le stime parlano di 130 ore all’anno in meno per utente. Il costo di accesso a Netflix si riduce ulteriormente anche a fronte del fatto che i numeri parlano del 30% di utenti che condividono l’account.
Dati affidabili su questo fenomeno davvero disruptive sono difficili da trovare. Molti sono report interni o statistiche raccolte via web, come quelle della pubblicazione da cui questo articolo prende spunto.
Il fatto è che Netflix (o Spotify) mostrano con evidenza quello che The Economist scriveva già lo scorso aprile quando metteva, una volta di più, in discussione il PIL come indicatore valido a catturare il reale valore della nostra economia. E questa volta i dubbi non vengono da quelle dimensioni ineffabili, come la felicità o la bellezza di una poesia, in cui i numeri non possono esserci di troppo aiuto: qui si tratta proprio di prodotti, digitali e capaci di una diffusione capillare, che hanno un costo e coinvolgono delle transazioni. Solo che evidenziano il passaggio dalla proprietà all’accesso, con conseguente problema nell’individuazione del reale valore monetario.
La musica, su tutti, è un ottimo esempio: il fatturato delle case discografiche dal 2008 si è ridotto del 40%, ma la domanda di musica è aumentata negli anni. Il reddito o il prodotto interno lordo, dunque, sono in grado di catturare l’effettivo valore della nostra qualità della vita che diventa migliore per un aumentato accesso a risorse prima scarse?
Oggi, infatti, ciascuno di noi ha a disposizione una quantità di informazioni e di servizi che, solo 30 anni fa, le persone più ricche si sarebbero sognate: telefonate internazionali a costo zero, accesso a cataloghi sterminati di musica e contenuti video. L’economista William Nordhaus, in un celebre articolo, affrontò il problema attraverso il costo della produzione della luce: partendo dalle candele, utilizzate nel 1800, il prezzo della luce si è abbassato enormemente ma la domanda è: può la semplice variazione di prezzo catturare l’enorme miglioramento della qualità della vita che deriva da una vita elettrica, che sostituisce al buio e alla noia della sera la possibilità di riempire e vivere quelle ore fino ad allora dimenticate?
E come è possibile misurare il valore, in termini di qualità della vita, prodotto da Netflix? Il fatturato, di circa 8 miliardi di dollari annui, è un indicatore che ci dice qualcosa ma, come abbiamo già detto, molto poco sulla vita reale degli utenti.
Visto che, dunque, Netflix impatta enormemente sul tempo che le persone dedicano a guardare contenuti online, una possibilità è proprio quella di guardare tali numeri. Nel 2015, chi ha usato Netflix, al mondo, ha fatto sì che si accumulassero 42,5 miliardi di ore di contenuti guardati (con una media di 1,8 contenuti al giorno per utente). Come prezzare queste ore?
Qui viene in aiuto il concetto di costo opportunità, che ci consente di dare un valore a un’ora di tempo attraverso la migliore alternativa disponibile per quell’ora stessa.
Quale sarebbe l’alternativa a un’ora passata su Netflix? Di fatto, possiamo considerare due possibili opzioni: il lavoro e il divertimento. Nel primo caso (pensiamo a chi guarda Netflix durante la giornata, per esempio) possiamo utilizzare lo stipendio medio orario che una persona guadagnerebbe: considerando i livelli di salario minimo più o meno diffusi nel mondo, poniamo che questo valore sia di 10 euro. La seconda alternativa, visto che chi guarda Netflix, per lo più, accede a contenuti video, potrebbe essere quella di andare al cinema o vedere la tv. Se il prezzo di un biglietto è di circa 10 euro e il costo giornaliero di un abbonamento tv è di circa 1 euro, ecco che ci troviamo con una media di 5,5 euro.
Aggregando i due valori, magari con un peso maggiore (diciamo il 70%) all’intrattenimento serale, visto che, probabilmente, a guardare Netflix durante il giorno sono soprattutto studenti o persone inattive, otteniamo il valore:
[(10 €) x 0,3 + (5,5€ x0,7)]/2 = 3,5 € circa
Ora, con una semplice moltiplicazione, possiamo considerare il costo opportunità mondiale (in un anno) di guardare Netflix:
42,5 (mld di h) x 3,5€: 148,75 miliardi di euro
Se volessimo dividere questo valore per il numero di utenti, otteniamo una cifra di circa 1700 euro annui di media. Per avere un’idea di qualche possibile utilizzo di questi 1700 euro, ecco qui una proposta tra le tante:
Prodotto | Prezzo |
Caffè quando si va al lavoro | 300 |
Cene Deliveroo (mentre si guarda Netflix), 1 a settimana | 700 |
Appartamento a Roma (3 notti) per persona (Airbnb) | 300 |
Pulizie in casa (2 volte al mese) acquistata su Helpling | 400 |
Naturalmente, le cifre indicate si basano su assunzioni e non hanno tanto l’obiettivo di stimare oggettivamente il valore monetario del tempo speso su Netflix: per quello, a ben vedere, ci pensa la stessa azienda che poi vende il servizio. Si tratta tuttavia di un esercizio che mette in evidenza in termini economici un aspetto essenziale della nostra vita iper-connessa, vale a dire il fatto che l’agio e la qualità della vita che migliorano con certi servizi hanno un valore difficilmente catturabile dal reddito o dalla spesa in sé. E questo valore sfugge alla contabilità classica. E ora scappo, perché vado rivedere Friends su Netflix.